Memory Tapes, Dayve Hawk per i suoi neighbors, sembra fare un po’ di confusione (e potrei giocarmi tutta la recensione tra i termini di grazia e confusione del titolo, ma non lo farò): pubblica un album di sei tracce che io davvero non so come interpretare ““ pochi pezzi, ma lunghi e complessi tanto basta per farmi credere per qualche giorno che quello che stavo ascoltando fosse solo un’anteprima. Le tracce sono rimaste quelle, sei, con una durata media di sei-sette minuti: “Grace/Confusion” sembra un bel libro che si interrompe prima di arrivare a conclusione e che si è dilungato troppo sui preparativi, ampolloso e disorganico, i cui momenti migliori non riescono a redimere davvero quel capitolo sulla storia della pesca di trote nel lago dietro casa del nostro eroe ““ e a noi della pesca non ci interessa poi molto, con tutto il rispetto; vorremmo solo sapere cosa succede poi, ma il libro di chiude e ci troviamo con la quarta di copertina in mano e un sacco di informazioni francamente inutili su argomenti di cui non avremmo mai voluto leggere.

Il fatto è che, però, Davye Hawk voleva proprio questo, parlare di tutto quello che a noi pare non interessare ““ di cosa è capace già  ce l’aveva dimostrato nel 2009 con “Seek Magic” e musicalmente siamo tornati nuovamente da quelle parti.

è interessante come certe persone, di talento maturo, arrivino poi a pubblicare qualcosa che è calcolatamente confusionario, incerto, dall’imperfezione fertile di un esordio prodotto a distanza di anni, un’adolescenza (musicale) ritardata: sto riascoltando adesso “Bicycle” dal disco del 2009 e non è che la versione perfezionata di una traccia qualsiasi di “Grace/Confusion”. Eppure l’ha detto lui stesso, voleva costruire un disco che rispecchiasse, intenzionalmente, il suo sentirsi a mess, condizione che qualsiasi singolo di tre minuti è incapace di rappresentare. E che invece la coda finale di “Sheila” ““ gli ultimi tre minuti, in verità  ““ rappresentano alla perfezione.
Quindi? C’è qualcosa di ironico nel rappresentano alla perfezione che suona tanto come un è bravo ma non si applica o come un sta esprimendo se stesso a giustificazione di un lavoro che non ci piace, ma che ci sentiamo cattivi a condannare (lieve vena paternalistica o da professoressa delle medie che cerca di incoraggiare il ragazzino insicuro e che deve sicuramente nascondere del potenziale, ma non si sa dove); un tono che preferirei evitare di usare, anche perchè alla fine “Grace/Confusion” non è un cattivo lavoro, nè un lavoro riuscito così male; è esattamente come è stato programmato, e la precisione dei contorni è un dettaglio di cui possiamo smettere di preoccuparci per una volta. In tutto questo, il vero peccato che ha commesso Davye Hawk non è quello di costringerci a lunghi minuti di caos sonoro, ma piuttosto che quella confusione è la versione sbiadita di qualcosa che abbiamo già  sentito e fatta pure meglio, il peccato è che “Neightborhood watch” è una traccia carina, ma che manca il segno ““ di poco, ma lo manca.

è un album che può servire a testimonianza di una fase di un artista, la volontà  di registrare le onde e le maree di un talento del New Jersey, un album che cammina sul filo tra l’essere stucchevole e già  datato e perfettamente in linea con i tempi (come certi maglioni pieni di glitter che non riescono a fare il giro e a tornare belli ““ per catturare la densità  del momento bisogna avere allenamento e attitudine, non si fanno concessioni, altrimenti assomigliamo tutti al Colin Firth vestito di lana e renne dei party natalizi di Bridget Jones, per citare qualcosa di sinceramente uncool).

C’è un’immagine che continua a girarmi in testa ascoltando “Grace/Confusion”: quella di una discoteca dalle feste a tema, un branco di adolescenti con i pattini a rotelle che girano in tondo, sotto una di quelle palle coperte di specchietti e possibilmente da qualche parte vedo anche una macchina del fumo ““ un po’ la festa più cool dell’anno, un po’ luna park di provincia; a volte è solo questione di punto di equilibrio.

Photo Credit da carparkrecords.com