What if I am just a bad songwriter? si chiede Christopher Owens in “Love Is in the Ear of the Listener”. La domanda è oziosa, e lui lo sa benissimo.
Non è difficile spiegare perchè all’epoca dei Girls si sia distinto in una pletora di artisti californiani che proponevano una formula rock tra i 50s e i 70s con un atteggiamento che si può bonariamente definire “cazzone”. La somiglianza con un Michael Pitt dai denti gialli lo ha aiutato, l’essere sopravvissuto a un’infanzia in una setta e a una madre disordinata gli ha permesso di raccontare qualcosa nelle interviste. In realtà , con una personalità che prova di essere più grande del personaggio, Christopher Owens si è distinto semplicemente perchè è un ottimo cantautore.
Non ha avuto paura, all’epoca di “Father, Son, Holy Ghost”, di insistere su una vena cheesy che lo ha spinto in territori rischiosi ma convincenti, nonostante l’aurea da cantante dei matrimoni che ne conseguiva. Sta di fatto che i Girls si sono sciolti, ma Owens non ha smesso di scrivere bei pezzi. Tutt’altro. Prendendo spunto da una relazione interrotta con una ragazza conosciuta a un festival francese”“ da cui il nome dell’album”“ per il suo esordio solista se n’è uscito con undici tracce che all’ascoltatore ostile sembreranno auto-indulgenti, mentre quello complice le riconoscerà per quel che sono: piccole gemme di scrittura corroborate da valide intuizioni musicali.
In “Lysandre” Owens non si assume grossi rischi, ma neanche ce lo saremmo aspettato. Nel disco ci sono echi jazz, pastorali medievali, ritornelli da Muppet Show, un po’ di dub da spiaggia ma soprattutto un contagioso buonumore. Tra la leziosità di Paul Simon e l’heart on sleeve alla Big Star (non sbagliano sul New Yorker a scrivere che “Everywhere you Knew” è una specie di sequel di “Thirteen”), Owens è il ragazzo che viene sotto la finestra con lo stereo in mano ma pure quello che non esita a fare petting spinto sui sedili di dietro.
Romantico senza essere nostalgico, parlandoci di un volontario smarrimento che accade in continuazione con questa incoscienza che è generazionale ma anche eterna, Owens è sia qui che altrove. Mica poco, per uno che crede di essere un ruffiano cantautore.