Michele Mezzala Bitossi dei Numero6 è un personaggio unico nella scena indipendente italiana. Parlare con lui è sempre un piacere (alla larga risposte di comodo!), quindi a breve distanza dall’ultimo disco dei Numero6 “Dio C’è” ne abbiamo approfittato per fargli qualche domanda sulla sua band, la sua esperienza solista, lo stato dell’arte in Italia e sul suo amato Genoa.

Michele, prima di tutto: perchè questo titolo che ci riporta alle “mitiche” scritte sui cartelli autostradali?
Come ho già ‘ avuto modo di dire in più’ occasioni non mi reputo un gran titolista. Capita spesso che le mie canzoni e i dischi di cui esse fanno parte rimangano senza nome definitivo per parecchio tempo, accontentandosi a malincuore di working title piuttosto improbabili e, a volte imbarazzanti (tanto che forse sarebbe divertente pubblicarli talvolta nelle note dei dischi…;).
Fortunatamente da due album a questa parte il mio socio Tristan Martinelli mi viene in aiuto e sforna titoli veramente soddisfacenti ed evocativi. Stranamente però’ sia lo scorso album dei numero6 che questo li ho battezzati io. Durante le registrazioni, completamente a caso, i miei pensieri hanno fatto un salto mortale all’indietro e sono atterrati nel bel mezzo degli anni ottanta, focalizzandosi su queste scritte leggendarie, opera di pusher meticolosi e creativi che con questa tattica informavano i tossici della zona che in quei pressi si poteva trovare roba buona. Una volta “riconquistata” quell’immagine non ho avuto dubbi e ho deciso di farne il titolo del nuovo disco dei Numero6. Mi piaceva da matti restituire in qualche modo uno spicchio dell’immaginario proprio dell’epoca in cui tutti noi siamo nati, un mood se vogliamo metropolitano, losco, suburbano, più puro e ruspante di quello attuale, anche se innegabilmente tragico. Lo stesso Tristan sostiene poi che la saga dei titoli degli album dei Numero6 attinti da scritte sui muri, iniziata con lo scorso “I love you fortissimo” e proseguita con questo culminerà  col prossimo, che si intitolerà  finalmente “Doria merda”.

Quali sono state le ispirazioni più grandi per i temi di questo disco?
A parte “’66”, chiaramente autobiografica, ho scritto tutti i testi delle canzoni di “Dio c’è” cercando di essere meno autoreferenziale possibile. Nonostante utiizzi quasi sempre la prima persona singolare si tratta per lo più di storie, che nascono da frangenti che vivo, che vedo, che leggo sui giornali e che ho tentato di rielaborare con l’intento di renderle più universali possibile.
Mi piace molto provare a trasformarmi nei personaggi dei miei testi. E’ un po’ rischioso perchè i fraintendimenti sono comprensibili e sempre dietro l’angolo ma solo immedesimandomi davvero ho possibilità  reali di essere credibile e onesto fino in fondo.

Anche grazie ai miei compagni che mi hanno spronato in tal senso ho cercato di scrivere aprendomi maggiormente all’esterno rispetto al passato, cercando di evitare in tutti i modi l’autocompiacimento e di essere più diretto possibile.
Ho scritto tutti i testi di “Dio c’e'” in un periodo abbastanza breve di tempo, si parla di sei mesi circa. Sono andato a ruota libera senza pensare troppo, assecondando il piu’ possibile le pulsioni che avevo dentro e che desideravo uscissero. Faccio sempre abbastanza fatica a parlare del mio processo creativo, dell’ispirazione, che spesso a mio avviso e’ bene stimolare con la disciplina senza aver paura di svilirla. Alla fine, nonostante un percorso di scrittura spontaneo e libero, credo che le canzoni di “Dio c’e” siano unite da un filo rosso concettuale che e’ quello del tentativo di riconquista dell’amore (amore inteso in senso lato) in seguito a errori e momenti molto difficili. Sono molteplici le sfumature delle riconquiste di cui parlo, ma credo che il tema centrale del disco sia questo.

Che differenze riscontri nella scena indipendente italiana rispetto agli anni ’90? Sono stati fatti passi in avanti o passi indietro?
Quando ho iniziato a fare dischi e tour coi laghisecchi, alla fine degli anni 90, si faceva musica “indipendente” più’ per reale passione ed esigenza artistica che per moda.
C’era tutto un altro tipo di attitudine, mutuato da band che erano dei veri punti di riferimento per molti, penso a Fugazi, Pavement, Pixies, Sebadoh

C’erano ancora discografici interessati a sviluppare progetti artistici che avrebbero avuto necessariamente bisogno di tempo, e quindi di pazienza, per dire la loro in maniera significativa. C’era quindi molta meno ansia di ottenere risultati immediati perchè’ spesso esistevano i presupposti per lavorare a dei percorsi artistici non limitandosi a lanciare un singolo che “o la va o la spacca”. C’era di fatto molta più’ selezione perchè’ se volevi fare un disco dovevi meritartelo visto che la tecnologia non permetteva le robe pazzesche che puoi fare oggi. O trovavi qualcuno disposto a investire su di te o dovevi avere abbastanza soldi per pagare uno studio.
E’ incredibile come in una decina di anni le cose siano cambiata radicalmente. Adesso la situazione è fuori controllo, a tratti demenziale e a mio avviso siamo prossimi a una sorta di implosione.
Escono settanta dischi al giorno di settanta band o singoli con un’ansia spasmodica di conquistare il mondo, per lo più si tratta di merdetta di mosca registrata pessimamente fatta da ragazzini arroganti e presuntuosi spesso considerati la nuova sensazione del panorama ma che durano si e no tre settimane. Si è totalmente perso il senso della misura, l’obiettività  e la giusta necessità  di autocensurarsi. Mi dispiace dire queste cose che possono suonare reazionarie, bacchettone, ottuse. Ma le penso, e io dico sempre quello che penso. E attenzione, le dico da appassionato di musica più che da musicista. Che cazzo vuoi che me ne freghi di fare la gara con certa gente.Leggere poi di continuo recensioni in cui sedicenti giornalisti scambiano un violino per un violoncello non mi aiuta ad avere una visione più incoraggiante del panorama.
Non parliamo poi della situazione sul versante della musica dal vivo. Lì la situazione è veramente agghiacciante. Ma mi fermo qui, se no non finiamo più.
Detto tutto questo, anche solo per una questione biecamente statistica, penso che oggi stiano emergendo parecchi talenti interessanti, più sul versante dell’attitudine che su quello della scrittura, che in generale trovo molto meno creativa e interessante rispetto al passato.

E i Numero6 quanto sono cambiati col passare degli anni?
Credo che come tutti quelli che si impegnano per fare musica seriamente, per scrivere cose significative, negli anni abbiamo lavorato duro per riuscire a raggiungere prima di tutto una cifra stilistica più personale possibile, un certo grado di riconoscibilità , un suono peculiare. A mio avviso con “Dio c’è”, che pure contiene alcune ingenuità  e non è esente da cadute di tono, il nostro percorso ha raggiunto una tappa decisamente importante per quel che riguarda la sintesi tra livello qualitativo e produzione. Credo fermamente che ogni nostro disco sia quanto meno buono se parliamo di canzoni, mentre c’è stato un miglioramento esponenziale per quel che riguarda la consapevolezza dei nostri mezzi nell’importante fase di arrangiamento e di produzione. Io da sempre mi reputo un valido scrittore di canzoni che riesce talvolta ad avere folgorazioni importanti. Come musicista invece non sono sulla di che, non ho grandi risorse tecniche e tendo ad arrangiare i pezzi sempre nello stesso modo. Dopo “Dovessi mai svegliarmi”, che comunque ha una produzione talmente fuori di testa da piacermi (mentre invece “Iononsono” suona proprio di merda) ho sentito il bisogno di prendere effettivamente atto di certe mie innegabili carenze cercando collaborazioni importanti per dare un peso specifico nuovo alle canzoni, stratificare con maggiore consapevolezza, non accontentarsi delle solite strade. In tal senso gente come Mattia Cominotto e Ivan Rossi è risultata determinante nella nostra crescita, ovviamente insieme a Tristan Martinelli, entrato nella band nel 2010.

Personalmente credo che la mia maturazione come autore sia progressivamente coincisa con una sempre maggiore ricerca della semplicità . Potrebbe sembrare un controsenso ma non lo è perchè maturare musicalmente spesso vuol dire liberarsi da inutili e dannose sovrastrutture.

Quali sono le motivazioni che ti spingono a portare avanti il progetto Numero6?
Beh, direi senza dubbio i circa 10.000 che mi arrivano ogni mese dalla siae, i cachet stellari che ormai prendiamo regolarmente, il giro dei party hollywoodiani nel quale ormai siamo parecchio inseriti. Poi c’e’ da dire che siamo consapevoli di un fatto tanto semplice quanto fondamentale: siamo convinti di realizzare ancora ottimi album che meritano di essere pubblicati. Dopo “dovessi mai svegliarmi” abbiamo vissuto un periodo molto difficile in cui siamo arrivati a un passo dallo scioglimento. Nonostante le avversita’ siamo poi ripartiti con nuovo entusiasmo e soprattutto con la voglia di fare musica senza troppi condizionamenti, senza pressioni, sentendoci pienamente liberi. C’e’ un patto tra di noi: nel momento esatto in cui avremo la sensazione di non divertirci piu’ chiuderemo baracca e burattini. Il fatto e’ che ci divertiamo ancora molto e tendiamo a battercene le palle di tutto quel che ci circonda pensando solo a creare belle canzoni.

Che differenza c’è tra il Mezzala solista e il Mezzala dei Numero6?
Una delle motivazioni della longevità  dei Numero6 è senza dubbio il fatto che tutti noi abbiamo altri progetti musicali oltre a quello con la band. Ciò a mio avviso è fondamentale perchè allenta la pressione sul gruppo, a cui come dicevo teniamo molto ma che vogliamo vivere il più possibile con serenità , consci del fatto che il nostro percorso deve poter prescindere da logiche che non ci attraggono per niente.

Per quanto mi riguarda erano anni che avevo l’intenzione di intraprendere un percorso solista. Ho rimandato un po’ di volte, poi mi sono deciso. Avevo bisogno di avere un nuovo progetto in cui gestire tutto in solitudine, senza dover rendere conto a nessuno sia artisticamente sia riguardo alle modalità  di produzione, promozione e quant’altro. Essere in una band ha tanti aspetti positivi ma a volte può essere una situazione che ti “protegge” troppo come autore facendo sì che tu, anche inconsciamente, ti “sieda” un po’ creativamente. Io avevo bisogno di nuovi stimoli e di poter lavorare anche in solitudine. Credo che il progetto “Mezzala” abbia fatto e faccia del bene a me ma anche ai Numero6, anche perchè, fra le altre cose, mi permette di poter suonare dal vivo in veste acustica, cosa che mi piace parecchio.

Sono molto contento di com’è andato il mio primo disco solista, “Il problema di girarsi”. Con estrema franchezza ti dico che, a livello di sound, sarebbe potuto essere tranquillamente un disco dei Numero6. E’ invece a livello testuale che riscontro le differenze maggiori, nel senso che se con la band il mio modo di scrivere è ormai molto aperto all’esterno, al raccontare storie, come Mezzala riesco a essere più autobiografico, a scandagliare maggiormente nel mio animo, a scoprirmi di più.
Il mio prossimo disco solista, a cui sto iniziando proprio in questi giorni a lavorare, sarà  comunque molto diverso dal precedente e, in generale, da ogni cosa che ho fatto fino ad oggi. Credo che a questo punto sia importante diversificare fortemente i due progetti.

Negli ultimi tempi, sia dal punto di vista dell’appassionato sia da quello di organizzatore di live, ho notato che la gente si muove sempre meno per andare ad ascoltare un live o per scoprire un gruppo nuovo anche solamente dall’esibizione dal vivo. Quale può essere il meccanismo per scardinare questa “discesa”?
Come accennavo prima a mio modesto avviso la situazione dei live in Italia è a dir poco desolante. In giro non c’è un euro e lo sappiamo. Ormai da mesi il contesto è abbastanza “bloccato” perchè i promoter non vogliono (nè spesso possono) prendersi il minimo rischio e tendono a puntare sempre sugli stessi artisti, che suonano sempre negli stessi posti, si inflazionano e stancano la gente. I gruppi di fascia “media” fanno una fatica incredibile a suonare anche perchè quelli “piccoli” si svendono senza ritegno. Io la vedo così, e non la vedo certo bene.
Aggiungiamoci poi che, come dici tu, la gente sembra aver perso totalmente la curiosità  di assistere ai live di band da “scoprire”, preferendo staccare il cervello ballando hit di Muse e Oasis con improbabili cocktail in mano.

Comunque, per rendersi conto di come le cose stiano precipitando, basta vedere quante band rinunciano ad andare in giro a ranghi completi optando per soluzioni compromissorie e di ripiego, come i set acustici in duo o roba del genere. Quanto a noi, pur avendo tantissima voglia di suonare dal vivo, a malincuore abbiamo deciso di rinunciare a parecchie proposte che abbiamo reputato “indecenti” privilegiando solo quelle che riteniamo in linea col nostro progetto. Questo con molta serenità , senza forzature, ma con determinazione e senso della realtà .

Ti senti di consigliare qualche nome della scena genovese che hai scoperto negli ultimi tempi? (mesi, anni)
Beh, a Genova attualmente c’è un grande fermento. Me ne rendo conto anche perchè ho uno studio di registrazione chiamato Greenfog attorno a cui gravitano parecchie realtà  davvero molto interessanti. Non posso esimermi dal citare i Bosio, che fanno parte di The prisoner records, la mia etichetta. Sono una band per me davvero unica in Italia. Ci sono poi per esempio i Little Chestnutts, davvero molto interessanti, che a breve usciranno con il primo disco. Mi piace molto Roberta Barabino, una cantautrice di grande talento, i Ctrvtr, reduci addirittura da un tour in Cina (da cui scaturità  un documentario che coproduco), gli Isaak, i Cuccioli morti. Insomma, roba buona ce n’è tanta.

Ultima domanda: quanto ti ha fatto incazzare la foto di Sampirisi e Kucka dopo la sconfitta del Genoa col Cagliari? Non è più il calcio di una volta o sono solo seghe mentali che ci facciamo noi?
Quella foto mi ha fatto imbestialire, soprattutto perchè scattata con una leggerezza disarmante negli spogliatoi appena dopo una partita di fondamentale importanza giocata in maniera davvero indegna e puntualmente persa. Tre giorni prima di quella partita, poi, i giocatori del Genoa avevano avuto la geniale idea di devastarsi in un noto locale genovese facendo bagordi fino alle cinque del mattino. Un comportamento da veri infami senza rispetto per tifosi che fanno mille sacrifici per seguire e sostenere la squadra sempre e comunque, nonostante i risultati pessimi di quest’anno. Altro che professionisti. Gran parte dei giocatori di calcio oggi sono dei veri e propri mercenari, viziati e senza palle. Io ho visto la prima partita del Genoa nel 1979, a quattro anni, Mi ci portò mio padre buonanima, che mi “iniziò” a un calcio molto più genuino, ruspante, vero di quello attuale, che è un’enorme buffonata, un calderone di corruzione ad uso e consumo di coglioni come me che dovrebbero abbandonarlo una volta per tutte e invece ogni domenica sono lì a soffrire e a farsi prendere per il culo.
Io vorrei veramente darci un taglio, non so se ce la farò. Di sicuro terrò mio figlio Pietro il più possibile lontano da questo mondo malato.