Chi ha amato il debutto dei Veronica Falls, con l’album omonimo uscito nel 2011, troverà in questo secondo disco una conferma. Formazione vincente non si cambia: Roxanne Clifford e James Hoare tornano entrambi a voce e chitarra, accompagnati da Marion Herbain al basso e Patrick Doyle alla batteria e ai cori. Qualcuno potrebbe dire sono tutte uguali. E in effetti risulta difficile trovare delle differenze sostanziali tra le tracce, che a un primo ascolto distratto sembrano essere l’una il seguito all’altra. I brani si assomigliano tra loro, ma come per tutti gli album, questo può piacere o meno. Se piace, piace tutto. Fortunatamente è il mio caso.
In generale l’album contiene pezzi di vero e proprio indie-pop, che giocano con melodie un po’ romantiche e un po’ malinconiche, dolci e tristi allo stesso tempo, il cui punto di forza e ingrediente principale è la contrapposizione tra i vocals maschili e quelli femminili. Nessun tecnicismo e nessuna complicazione, ma una ricerca di uno stile “semplice ed efficace”. I ritornelli entrano in testa e si fanno ricordare, le melodie, più che orecchiabili, si coniugano ad arrangiamenti vocali accattivanti e arpeggi di chitarra che dettano il ritmo. Parti melodiche “piene” di voci e strumenti si alternano a vuoti riflessivi, a momenti in cui emerge l’assolo di chitarra piuttosto che la voce di Roxanne Clifford. In un susseguirsi di brani che ricordano, in ordine sparso, il pop degli anni ’60, le pulsioni garage-rock e le sonorità anni ’80.
I tredici pezzi in scaletta, tutti brevi, al di sotto dei tre minuti, sono stati registrati ““ in modo ineccepibile ““ insieme al produttore Rory Attwell (legato ad alcuni nomi più o meno noti nella scena inglese, come Yuck, S.C.U.M., Palma Violets, The Vaccines, Big Deal).
L’album si apre con “Tell me”, traccia che parte con un bel solo di chitarra e ci fa entrare subito nella giusta atmosfera, al quale poi si aggiungono batteria e voci in un coro a due, con la maschile di sottofondo e la femminile alta e malinconica. Segue “Teenage”, il primo singolo estratto del quale è stato fatto anche un video, dal mood più spensierato. Lo stesso vale per “Broken Toys”, in cui tra un ritornello e l’altro, gli arpeggi solo di chitarra rendono la melodia fischiettabile. Il ritmo rallenta con “Shooting star”, della quale è però impossibile non unirsi almeno mentalmente al coro. E qui arriva poi il pezzo che dà il titolo all’album. Quasi scontato, già dall’attacco delle prime battute nella testa di chi ascolta sembra delinearsi tutto lo svolgimento: come farà il ritornello, come cadranno i vocals, dove andrà a parare la melodia. E non ci sono sorprese. Nè qui nè nei brani successivi. “If you still want me” ricorda quasi un pezzo disco anni ’80 per il ritmo martellante dall’inizio alla fine e per i giochi di cori, maschili e femminili. “My heart beats” è un brano di stampo surf ritmato e melodico, seguito da “Everybody’s Changing”, allineato agli altri e poco di spicco. “Buried Alive” e “Falling out” sono forse i due momenti più tristi dell’album, dove comunque il ritmo incalzante non lascia spazio a distrazioni e cadute d’attenzione. “So Tired” sembra un omaggio agli anni “’50, seguita dalla romantica e dolce “Daniel”, forse la traccia più mielosa di tutte, sia per il testo che per l’arpeggio di chitarra che fa da sottofondo. Si finisce con “Last conversation”, che non definirei una chiusura “in bellezza” ma perfettamente in linea col resto dell’album. Come previsto.
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2. Teenage
3. Broken toy
4. Shooting star
5. Waiting for something to happen
6. If you still want me
7. My heart beats
8. Everybody’s changing
9. Buried alive
10. Falling out
11. So tired
12. Daniel
13. Last conversation