E se guardi a lungo in un abisso,
l’abisso scruterà dentro di te.
(F. Nietzsche)
Il vero successore di “Embryonic” (se escludiamo il cover album di “Dark Side Of The Moon”, il colossale “Strobo Trip” -tre pezzi di cui uno di sei ore, l’incredibile “I Found A Star On The Ground”- , il disco-feto di gomma, la canzone di 24 ore inserita in un cranio, il disco di collaborazioni dello scorso anno “The Flaming Lips and Heady Fwends” e altra roba sparsa”…) è figlio di un periodo buio e difficile -a livello esistenziale- per le due menti del progetto, ossia il frontman Wayne Coyne e il polistrumentista Steven Drozd.
Il primo, da quello che attesta la rete, si sarebbe lasciato con la dolce metà Michelle dopo ben un quarto di secolo passato insieme. Il secondo avrebbe passato un periodo di nuovo prigioniero di una spirale nera di dipendenze.
Immagini che cozzano irrimediabilmente con l’immagine festosa, colorata, caciarona che si ha in mente dei Flaming Lips, soprattutto se si pensa ai live scoppiettanti conditi di mascherate, palloni giganti “da passeggio” e coriandoli. Tra le nove nuove tracce (tracklist dimezzata rispetto a “Embryonic”) non c’è niente di simile alla canzone che aveva preceduto l’album, la giuliva e anche un po’ demente (e prescindibile) “Sun Blows Up Today” (invero creata per uno spot Hyundai e bonus della versione digitale dell’album).
Se già con il capolavoro del 2009 il suono psichedelico di Coyne e soci si era molto incupito rispetto al passato, “The Terror” continua su questa china e promette esattamente quello che il suo titolo vuole indicare perentoriamente. Più che il terrore però si tratta dell’atterrimento dovuto all’apprendere l’evoluzione, in questo caso fortemente negativa, di un percorso esistenziale e lo sgomento che ne deriva. E infine le strategie interiori per riuscire, di base, a sopravvivere.
Così “The Terror” è la testimonianza di una sopravvivenza, testimonianza addolcita dall’aspetto inevitabilmente lisergico e fluttuante dell’esperienza che la accompagna, il cui dolore è insomma lenito da onde balsamiche che percorrono campi magnetici siderali e immense orbite gravitazionali, durante viaggi spaziali-interori ai confini della Speranza, lì dove l’amore muore e l’inferno inizia. O il Silenzio, che è un po’ la stessa cosa della Morte. E quindi dopo il Silenzio il rumore, o meglio, il ronzio eterno di synth e macchine pulsanti, borbottanti come cuori androidi malconci, a sostituire tamburi, casse e piatti.
Quindi fondamentalmente il nuovo disco è contraddistinto dalla quasi totale assenza di ritmo, se non in un senso diverso, subliminale.
Anche se una batteria pestona trafigge “Look”…The Sun Is Rising” come raggi d’alba che bussano alle porte di un oblio narcotico. Da lì in poi è una lenta trasfigurante discesa, in parte appagante, in altri momenti asfissiante, tra allucinazioni simil-kraute e eleganti tunnel electro-kosmische con un Coyne mai così “distante” e glaciamente angelico, tra cupa catarsi (“Be Free, A Way”, “Try To Explain”), sguardi attoniti su lande epiche battute da ovattati rumorismi alieni (“The Terror”), incubi spaziali spiraliformi di isolazionismo d’avanguardia non facilmente digeribili (“You Are Alone”) fino ad arrivare alla liberazione finale di “Always There, in Our Hearts” che sancisce la suprema unione chimica tra Inferno e Paradiso, tra gioia e dolore, il lato gioioso, o meglio, vitale, che non può sussistere senza la sua controparte buia, scomoda, pericolosa, imprevedibile. Dopo quella che sembra una lungo, mantrica intro a base di gracidii elettronici, sibili mefistofelici e riffetti garagisti tornano i tamburi, con un groove di nuovo tagliente, a sorreggere il quasi-falsetto di un Coyne trasceso in una sorta di nocchiero esoterico dell’ “Altroquando”, oltre i cancelli della percezione per un viaggio a ritroso fino all’essenza del sè, da scovare nel miraggio di un futuro opalescente da poter agguantare, cullare e finalmente poter coltivare.
Nel marasma lisergico alla fin fine il pezzo migliore però risulta un ripescaggio del recente passato, cioè quella “Butterly, How Long It Takes To Die” che apriva l’impossibile “Strobo Trip”, numero da brividi di psichedelia moderna dall’aria ultra-malinconica.
Insomma, mai i Lips sono stati così bui. E ci vorranno davvero molti ascolti per poter comprendere a fondo questo “The Terror”. Un album difficile ma il cui fascino e spessore sono stati chiari sin da subito. Non tutte le sfumature però possono essere colte con la luce dell’Oggi. Servono nuove notti, notti madide, notti violente, notti silenziose gravide di misteri sotterranei e segreti che si sgretolano ai confini dell’Universo. Serve una nuova vita. Un’altra, altre vite. Una nuova dimensione.
Credit Foto: George Salisbury