C’è chi è fan, e c’è chi ascolta.
Samuel Beam è giunto ormai al suo quinto album in studio, oltre a numerosi EPs e qualche album live. Una carriera iniziata 11 anni fa con un disco acclamato dalla critica mondiale per le somiglianze spaventose con Nick Drake ed Elliott Smith. Per “The creek drank the cradle” (il primo) era bastato un mixer a quattro canali e una casa dove poter registrare un folk rigorosamente minimale e lo-fi: essenzialità che alcuni, ora, rimpiangono. I FANS.
Un percorso davvero intelligente, invece, è quello che ha compiuto l’uomo barbuto della Carolina del Sud: rafforzatosi nel 2004 con “Our endless numbered days” e consacratosi tre anni più tardi con “The shepherd’s dog”, due anni fa ha dato vita, non senza causare qualche mormorio, al pop quasi orchestral-jazz che è “Kiss each other clean”. E gli ascoltatori del primo giorno erano già rimasti un po’ delusi. Oggi è il giorno dello scisma: “Ghost on Ghost” è l’album dove tutto vale, esemplificato magistralmente nell’immagine matrimoniale descritta in “Low light buddy of mine”: And I love you and you love me / So we never demand and we never agree / I love you and you love me / And there’s new fruit humming in the old fruit trees. Bisogna fare i conti con l’altro, e mai pretendere di aver ragione: ed ecco che dal terreno non più fertile può nascere un nuovo frutto. Lentamente, come il mood di “Ghost on ghost” ci lascia intendere. Fiati che riempiono d’aria l’intero album, linee di basso pretenziosamente blues, e qualche piano malinconico che cerca il suo sound qua e là , improvvisazioni un po’ inutili e piuttosto pesanti ogni tanto,cori west coast alla Beach Boys in più di un pezzo, duetti gospel-folk in “Singers and the endless song”: tutto vale, insomma, in un album dove la chitarra acustica trova posto soltanto in apertura; una positività folk pop che ci dimentichiamo facilmente dopo la first track. Il resto tende al jazz, senza perderne in cantautorato.
“Ghost on Ghost” si chiude con un pianoforte che induce i fans a sperare nel futuro: In your restless days / I made my bed, I dug my grave / In your restless nights /We both swam blind, / Somehow falling into the light (“Baby center stage”).
E se invece fosse già questo il futuro? Se fosse già questa la luce di cui Beam (nomen loquens per chi sa l’inglese) fa ormai parte e con cui vuole illuminarci?
I fan resteranno delusi da quest’album, così come parte degli ascoltatori occasionali.
2. The Desert Babbler
3. Joy
4. Low Light Buddy of Mine
5. Graces for Saints and Ramblers
6. Grass Windows
7. Singers and the Endless Song
8. Sundown (Back in the Briars)
9. Winter Prayers
10. New Mexico’s No Breeze
11. Lovers’ Revolution
12. Baby Center Stage