Praticamente da Bon Jovi a Bon Iver. Il pregio di un film come “The place beyond the pines” è che riesce a passare da un momento all’altro della storia, da una generazione a quella successiva, e da Bruce Springsteen a Bon Iver, con una grazia che io davvero non riesco a ricordare in molti film ““ e mi fa usare la parola saga familiare, senza la noia del termine. Se le colpe dei padri ricadono sui figli, possiamo dirlo anche senza dover ricorrere alla tragedia greca, alla Bibbia o ai bisbigli altamente spirituali di “Tree of life” ““ il cuore tanto te lo spezza lo stesso, lasciandoti praticamente esanime, sprofondato nella tua poltrona del cinema, perchè così non pensavi che potesse andare, non può succedere anche questo (no spoiler, ma se non lo avete visto dovete recuperare).

La radura in mezzo al bosco (“the place beyond the pines”) fuori Schenectady è il luogo in cui i nodi vengono al pettine, è una zona infestata da spiriti di nativi americani o forse solo dal senso di colpa per tutto quello che (non) abbiamo fatto. E la colonna sonora curata da Mike Patton (al terzo lavoro con il cinema, dopo “High Voltage” e “La solitudine dei numeri primi”, dove il suo contributo è l’unica cosa che voglio ricordare di quel film) è appunto così, haunting e infestata, dove non si capisce se si stia ascoltando un coro di voci bianche e una registrazione di fantasmi indiani, se la colpa sia quella cristiana o dei sacrileghi bianchi. è il suono di una città  che muore, dove non c’è più nessuna speranza, nè lavoro nè compassione, e che muore travolgendo tutti: non lo riesci a notare, ma tutto crolla, tutti crollano. C’è qualcosa che ancora stiamo scontando, di padre in figlio ““ e un battesimo non terrà  nessuno al sicuro, non illuderti; eppure è tutto molto più umano di così, è una tragedia che tocca solo gli attori presenti.

Un’epica minore con un’altezza spirituale e straziante che passa da suoni più elettronici, alle chitarre (white trash in agguato, chiedete alla Mendez in hot pants di jeans al luna park), organi da messa e sirene della polizia, fino quello che sembra un cuore che si ferma in “Handsome Luke”. Le prime 12 tracce sono curate da Mike Patton:brevi e diverse tra loro, si scoprono sorprendentemente coerenti; come si riconosce la mano unica che le ha create così si riconoscono i profili di Schenectady, gli alberi della radura.
In “Blue Valentine” la canzone della coppia WilliamsGosling era “You and me” dei Penny&The Quarters, qua abbiamo qualcosa di simile, con “Please stay” dei Crying Shames: stessa tenerezza un po’ stucchevole, da diner o da primo ballo al matrimonio, quando tutto sembra ancora da decidere.

La seconda parte del disco, da “Please stay”, contiene tracce non composte per il film: dal “Miserere mei” a Ennio Morricone: temi e situazioni simili a quelli che già  si trovano in Patton, religione e peccato, conversione e pentimento, fino alla grande catarsi di “The Wolves” di Bon Iver che farebbe commuovere anche le pietre, ammettiamolo (L’uso improprio ““ questa volta no ““ delle sue canzoni mi creerà  sempre problemi).
Fuori dal disco, ma presenti nel film troviamo tra gli altri anche Bruce Springsteen (“Dancing in the dark”), i Suicide (“Che”) e Messy Marv, ed è un peccato: sono queste le canzoni che scandiscono bene il passaggio del tempo e delle epoche, dato per tocchi, ma impeccabile.
Se un giorno mi venissero a spiegare “The place beyond the pines” tirando in ballo tragedia greca e grandi peccatori cristiani, non batterei ciglio, ma questa storia è ancora più umana, meno epica, ma quindi più grande. E questa è un’ottima colonna sonora per un ottimo film.