C’è ancora chi, nel nuovo millennio, mantiene viva la cara vecchia arte dell’improvvisazione. In un epoca di minutaggi contati, mixaggi veloci, musica mordi e fuggi, suono mp3compresso e via discorrendo c’è ancora chi i dischi li fa alla vecchia maniera. Isolandosi in uno studio delle Catskill Mountains (il Potterville International Sound Studio), mollando gli ormeggi e lasciando via libera alla creatività più sfrenata. Senza limiti di tempo, spazio. Senza preoccuparsi se quello che ne viene fuori sia incasellabile o meno in uno dei tanti generi iper-specifici che affollano le migliaia di siti e magazine iper-specializzati.
“Black Aces” è l’esordio degli Slobber Pup, però i quattro non sono certo degli sconosciuti. Dietro a organo e tastiere siede Jamie Saft (New Zion Trio, Metallic Taste Of Blood, Electric Masada), al basso elettrico Trevor Dunn (Mr Bungle, The Melvins, Fantomas, Tomahawk, Electric Masada), l’icona del free jazz Joe Morris alla chitarra elettrica e Balazs Pandi (Merzbow, Metallic Taste Of Blood, Obake) alla batteria. Un dream team compatto e ben affiatato, che cesella abilmente cinque canzoni tra musica microtonale, metal, jazz, sperimentazione noise, con un tocco di prog (in “Suffrage”). Tecnicamente ineccepibile, capace di restare sempre in equilibrio tra le diverse influenze come un acrobata che cammina sul filo, sospeso ad altezze vertiginose. Un’arte imparata da John Zorn, con cui Saft e Dunn hanno collaborato in passato. Come quell’equilibrista sprezzante del pericolo, gli Slobber Pup mantengono spesso alta la tensione ma sanno anche quando è il momento di rilassarsi e godersi il panorama (e farlo apprezzare anche a chi ascolta). Suonano con un’incredibile apertura mentale, che diventa visionaria quando si mettono in testa di contaminare stili musicali profondamente differenti tra loro.
“Black Aces” è un disco che richiede un ascolto attento e paziente (non solo perchè “Accuser” dura ventisette minuti e “Taint Of Satan” tredici). Ma vale assolutamente la pena di passare un’ora, una mattina, un pomeriggio, una serata in compagnia di Jamie, Trevor, Joe e Balazs. Di seguirli nel loro percorso tutto strumentale da un capo all’altro di quel filo che tendono e sospendono in posti sempre diversi, tra rumore e follia, di immaginarli lassù col cuore in gola come accade in ogni sport estremo che si rispetti. Pensando, senza volerglielo augurare: ora cadono, ora sbagliano, fanno un passo falso, dopotutto stanno improvvisando diamine. Invece arrivano sempre dall’altra parte sani e salvi e alla fine scatta l’applauso. Di ammirazione. Come succede ogni volta.