L’Americana Anticon, come già fece in passato, licenzia il nuovo “trip” del giovane Baths, “Obsidian”, e come sempre è una piccola storia sonora complessa quanto friabile, pop di cristallo che mira alle circonferenze di un electro e steso sulle caratterizzazioni del genere detto wonky, suonato come una lingua che viene da lontano e quasi un rituale riscaldato per sciamani della consolle e dei cavetti fluorescenti; tracce umide e bluastre che risultano un’iperbole sofisticata tra esperimento e canzonette del profondo Nord dove l’unica fonte di calore è quella della presa della corrente elettrica alla quale l’artista americano attacca i suoi strumenti.
Will Wiesenfeld, questo il nome originale di Baths, nonostante i giochi sonori già espressi nelle produzioni antecedenti, seguita a celebrare in sordina sensazioni e pathos che hanno in sottofondo tribalità e trance notturne, quelle riflessioni in chiaroscuro e senza dimensione che riempiono una tracklist alquanto gradevole, ma che passa il rosso senza fermarsi un minuto, scorre e magistralmente si eclissa come una bugia; dieci brani in cui si contemplano ancora e marcatamente le strutture attempate di certi Flying Lotus e Aphex Twin, cose alla lunga dimostrano e mettono a nudo una creatività sovraccarica di ovvietà e di moduli energetici scarichi o comunque sulla linea di guardia. Ricapitolando, la ricetta è sempre la stessa, ombre e memorie remote che stuzzicano le suadenze afrikaneer di “Worsening”, i beats inquadrati e sparuti “Ossuary”, la certificazione stunz “No eyes” e la devastazione noise melodica che “Earth death”, fino al sentenziare la quasi nullità del tutto che la cantilena in falsetto “No past lives” decreta in un derivativo modello di teatralità senza palcoscenico.
Baths seguita ad ostentare cose e sintetismi ma non idee nuove, peccato, mentre qui la noia impera. Da dimenticare.