Come da rituale consumiamo anche il primo live di quest’ultima giornata al lontano Heineken stage. Dopo la consueta scarpinata ad attraversare per intero il parco mi sistemo in buona posizione per assistere all’accoppiata Green+Shapiro. Superati “‘indenni’ i primi brani, dove i nostri si limitano ad assecondare il duetto con sorrisi e cenni di intesa, il barbuto Adam sale in cattedra monopolizzando l’intero live alla sua maniera, ovvero da navigato e cazzone “‘party-crasher’.
Balletti scordinati, salti e spaccate, e infine un inaspettato quanto spassoso crowdsurfing in stile superman. Binki, da una parte sorride (amaro???) ma di fatto è come se fosse sparita dal palco. Premio: live act più spassosa dell’intera rassegna.
La seconda performance salta fuori del tutto inaspettata. Da scaletta personale meticolosamente preparata i giorni precedenti sarei infatti dovuto essere da altre parti e non al cospetto di miss Melody’s Echo Chamber. E invece le immancabili, dolorose, defezioni (sabato prima il forfait di Rodriguez e poi quello, lastminute, dei Band Of Horses, ok non siamo a livello di Bjork l’anno scorso ma le palle girano comunque”…) mi convincono a dare una chance alla giovane francese. Sul talento di Melody Prochet ha puntato forte Kevin Parker, diventato suo mentore e produttore e noi non possiamo che fidarci. Tra echi kraut stile Stereolab ed electro-rock dalle forti influenze psych la voce fragile e fanciullesca della Pochet è sostenuta da una backing band di grandissimo livello. Ottima perfomance, ancora una volta Parker ha avuto ragione.
Pausa di “‘riflessione’ al palco RayBan dove sfrutto (lo farò molto poco quest’anno) gli spalti che cingono in stile auditorium lo stage. Qui unisco l’utile al dilettevole: cena + Dead Can Dance. Complice la stanchezza accumulata nei giorni precedenti e l’atmosfera non propriamente da panino e “‘Jamón serrano’ tra le mani fatico ad immergermi nel mood “‘gelido’ e mistico del duo inglese. Lisa Gerrard e Brendan Perry calano come la notte sul Parc del Forum con una performance dove gotico e dark incontrano sonorità etniche e world. La platea è gremita e coinvolta, io, purtroppo, rimango ai margini.
Giusto il tempo di allungare il collo al Primavera Stage per convincermi che la performance del Wu-Tang Clan e il loro delirio flow non è, almeno stasera, la mia “‘cup of thea’ e poi di corsa a conquistare posizioni per Nick Cave.
In sessanta minuti esatti Cave e i suo Bad Seeds sfoderano il live più intenso dell’intera edizione 2013.
Trascinanti, una voce potente e disperata, una band che asseconda in rabbia e sudore il suo “‘predicatore’. Il set parte lento pescando dall’ultimo album per poi esplodere: “Red Righ Hand”, “Jack The Ripper” “The Mercy Street” ma su tutte “Stagger Lee”. Sulle note della sanguinosa ‘murder ballad’ Cave scende tra il pubblico e si innalza sulle teste della sua gente come in una sorta di gigantesco esorcismo di massa. Siamo tutti ipnotizzati, quel figlio di puttana di Lee Sheldon potrebbe piombare alle nostre spalle e farci tutti fuori, non ci accorgeremmo di nulla”…
Altra performance che mette a ferro e fuoco il Parco è quella dei Crystal Castles. Personalmente non sono un amante delle sonorità del duo, ma quello che trovo al RayBan è sorprendemente piacevole. Dagli spalti sovrastiamo una folla sterminata compressa sotto il palco. Alice Glass è indemoniata, le bordate electro-punk scuotono corpi e teste, io, dall’alto, mi godo lo spettacolo.
Capitolo My Bloody Valentine. Arrivo al cospetto di Kevin Shields e gli altri carico di mille dubbi e perplessità . La loro perfomance al Way Out West di Goteborg, era il 2009, mi aveva profondamente deluso. Qui è tutta un’altra musica. Appostato lontano dal palco mi trovo nella posizione ideale per godermi lo spettacolo senza il rischio di rimanere stordito. Il mare di rumore e distorsioni, dal quale emergono melodie accennate e voci, arriva in tutta la sua affascinante potenza, sospinto da un emozionante “‘gioco’ di luci e visuals. Affogare sommersi da “I Only Said”, “Only Shallow”, “When You Sleep” non è mai stato così piacevole: lo shoegaze duro e puro.
Ultima performance della serata ce la regalano gli Hot Chip. Gli inglesi purtroppo sono decisamente in tono dimesso. Mi aspetto la chiusura in bellezza in un delirio “‘danzereccio’ e invece il set scivola via quasi anestetizzato. Le tracce dall’ultimo “In Our Heads” non colpiscono, i classici, nei quali ponevo tutte le mie aspettative da dancefloor, (“Over & Over”, “Ready For The Floor”) sembrano irriconoscibili, rallentate, poco incisive.
Poco male comunque la maratona 3 giorni del Primavera Sound ha regalato momenti indimenticabili (Phoenix, Blur e Nick Cave su tutti, insomma gli headliner sugli scudi !!!), lascio anche quest’anno il Parc Del Forum con la solita impagabile soddisfazione da sbornia musical-festivaliera.
Foto © Antonella Iacobellis