Nel 1927, la BBC divenne una corporazione e il timone venne affidato ad un uomo scozzese di nome John Reith, il quale riassunse in una formula divenuta ormai celeberrima l’intento che il servizio pubblico inglese avrebbe dovuto perseguire: informare, educare, intrattenere.
89 anni dopo, due inglesi che si fanno chiamare J. Willgoose, Esq. e Wrigglesworth si appropriano del dogma reithiano applicandolo in musica. “Inform – Educate – Entertain” è l’esordio salutato un po’ ovunque positivamente della ragione sociale (manco a dirlo) Public Service Broadcasting. Un lavoro che, pur mettendo in mostra un approccio se vogliamo documentaristico (registrazioni di voci televisive d’annata e di documentari veri e propri) e quindi – in senso molto molto ma molto ampio ai limiti dell’improprio – informativo ed educativo, trova la sua ragion d’essere e il suo scopo primari in quel “intrattenere”/”divertire”, con le altre due paroline che vengono semplicemente usate, sfruttate a tale fine ultimo.
I PSB non è che propongano una musica così originale, a dirla tutta. Prendete gli Hot Chip e speziateli con i Django Django: verrà fuori un coacervo di melodie circolari che si inseguono a vicenda, piccoli accorgimenti che arricchiscono il tema principale. Però insomma, synth-pop-rock (con un sassofono contralto a “nobilitare” il tutto qua e là ) ecco, niente di così trascendentale di questi tempi. Ciò che i PSB portano in dote come novità è proprio questa attitudine taglia&cuci / copia&incolla tra spoken e musica che in gran parte dei brani si rivela efficacissima a farti sballare per un po’.
In particolare la prima parte del disco gasa più che discretamente, lanciandoci a velocità sostenuta in un tunnel catodico a fibre ottiche. Avete presente “The National Anthem” dei Radiohead? Ecco, qualcosa del genere. Solo che nel pezzo dei Radiohead sono tangibili l’incertezza, l’ansia, il timore e quindi la claustrofobia; qui invece regnano l’euforia, il brivido della velocità senza alcuna preoccupazione. Inoltre la prospettiva di “The National Anthem” è rivolta al futuro, mentre i PSB (e noi appresso a loro) viaggiano sparati verso gli anni ’30-’40-’50 del ‘900 sostenuti dalla musica del presente, senza alcuna tensione emotiva se non quella scatenata da un certo languore di esotismo cronologico. La loro attenzione al passato, tuttavia – la loro specie di retromania, per dirla con Simon Reynolds, non è che una nostalgia di facciata: si servono semplicemente di discorsi e slogan radiofonici di allo scopo di creare un contrasto fra “preistoria” e presente-futuro al massimo immediatamente prossimo. Non si tratta di voler recuperare un passato irrecuperabile nè di spingersi verso un futuro incerto e dunque pericoloso (quello disegnato da Yorke nel 2000), si tratta solo di divertire qui e ora, con la “scusa” di informare ed educare. Riuscendoci, questo è ciò che conta.
La seconda parte dell’album invece mostra un po’ la corda nei termini di una circolarità che nove volte su dieci (e questa è una di quelle nove volte) esaurisce il proprio vigore, avvicinandosi pericolosamente alla soglia della ripetitività .
Nulla per cui sia spinto a formulare un giudizio negativo, in ogni caso: esuberante, adrenalinico, alle volte tamarro quanto basta, “Inform – Educate – Entertain” è un buon esordio. La domanda a questo punto è: una formula del genere ha margini di miglioramento o perlomeno di diversificazione? Chissà , forse si tratta di un esperimento destinato a rimanere irripetuto, o la prossima volta gli estratti da tele o radiogiornali saranno sostituiti da telecronache di Premier League o di FA Cup. Ma con i PSB al futuro non è poi tanto il caso di pensarci.
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