Non c’è peggio sordo di chi non vuol sentire cita un popolare proverbio, e nulla è più che azzeccato nel sentire il secondo lavoro discografico dei The Doormen “Black Clouds”, si perchè a prima botta la band è passata negli ascolti come acqua di rubinetto ““ nonostante il calibro d’insieme ““ ma già orecchi “antennati” ne avevano carpito le ottime doti irradiate ed ecco che ora, con il loro ritorno, c’è da giurare che qualcuno di quei “disattenti” si stia rimangiando dita e gomiti, ma vive sempre una seconda opportunità per redimersi davanti alla loro spinta sonica e dunque “prostratevi infedeli”.
I Ravennati tornano imperturbabili per postarsi nel loro marchio di fabbrica sonoro che gravita nei crinali Seventies di Terra d’Albione, sapientemente rimaneggiati nelle attenzioni brit e con l’epica intramontabile delle belle ballatone in stile – per indicarne alcuni ““ Interpol o Editors, e la loro è una continua e stupenda sinfonia radiofonica, una elettricità mai povera di idee che scorre agile e pensierosa tra i woofer in piena fregola di gusto; dieci tracce che confondono circa la vera collocazione geografica, tanta è la perfezione e similitudine con tante formazioni “doc” oltre-Manica, una prova dove estensione timbrica, originalità d’insieme e ricercatezza di stile giocano un ruolo fondamentale per la messa in moto del tutto, e il motore che poi ne esce è uno di quelli che macina interesse e risultati molteplici. Ovvio che in fondo in fondo non si inventa più niente e che tutte le formazioni e tutte le loro sonorizzazioni già paiono essere copie delle copie di originali degli originali, ma sta nel percepire attentamente le piccole “deviazioni” per rendersi poi conto che tutto è uguale senza essere uguale, basta ascoltare bene e i nodi immaginativi verranno a galla d’ascolto.
Anche con la spiritualità al neon di certi Blur primari nello shuffle di “Bright blue star”, “Starting at the celling”, la suggestione di “Black Clouds” e viva e pimpante, un circa quaranta minuti di “underground mainstream” che contribuisce alla grande a rendere una giornata ben sopra le righe, brani che danno la carica giusta come il poppyes che ciondola in “Father’s feelings”, “I’m in the sunset”, l’incitazione in salsa grigia wave “Silent suicide” o la riecheggiante atmosfera anni Ottanta che “Strange life” diffonde come un ricordo da spannare.
Un bel “secondo turno” che da assuefazione, un artificio che senza grandi trucchi o conigli nel cappello riporta una band che ha più d’una ragione d’esistere.
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2. My wrong world
3. Father’s feelings
4. I’am in the sunset
5. We are the doormen
6. Starting at the celling
7. Her power
8. Silent suicide
9. Strange life
10. Snowy day