Di tutte le serie che seguo, “Grey’s Anatomy” è la più longeva e ricattatoria o, forse, longeva perchè ricattatoria: ogni secondo potrebbe accadere l’irreparabile, i protagonisti morire nel più improbabile degli incidenti e lasciarmi orfana; praticamente è la sindrome di Stoccolma delle serie. E quella che utilizza Bon Iver di più in assoluto (o così sembra). Il nuovo lavoro di Justin Vernon, ho pensato prima ancora di ascoltarlo, sarebbe stato il miglior candidato a entrare nella colonna sonora della prossima stagione, ma forse mi sbaglio.

“Unmap” (2009) ha avuto il merito di darci un primo assaggio di quello che avevamo solo intravisto in “For Emma, forever ago” e che sarebbe stato protagonista di “Bon Iver”: “Youlogy”, “Husks and shells”, “Still”, tutte, hanno quelle sonorità  che avremmo trovato nel nuovo album, a conferma che però Volcano Choir era solo un side project di Justin Vernon piuttosto che un progetto con Vernon ““ il protagonista era lui, poco da dire. “Repave” cambia le carte in tavola e diventa il nuovo disco dei Volcano Choir: un lavoro organico, molto più strutturato di quanto ci si potesse aspettare, possiamo usare anche la parola “epico” come la potremmo usare per i Broken Social Scene o per certi Arcade Fire.

è difficile che il lavoro di un supergruppo (qua ci suonano anche membri dei Collections of Colonies of Bees e All Tiny Creatures) riesca a emanciparsi e diventare “solo” un grande disco da ascoltare, ma forse stavolta è il caso: “Repave” è un bel disco, prima che il prodotto delle migliori menti della tua generazione. Cosa che pure è: perchè a tutti gli effetti è il nuovo disco dei Collections of Colonies”…, dei All Tiny Creatures e di Justin Vernon, tutto insieme, senza sconti. Registrato tra il 2010 e il 2012, dopo un tour in Giappone che sembra essere stato la causa di tutti i progressi del gruppo (c’è un breve documentario qua http://www.youtube.com/watch?feature=player_embedded&v=uupjiDjaqII per chi fosse interessato), con otto tracce che sembrano contenere molto più che 40 minuti di musica: sulla finestra dello studio dove è stato registrato si erano scritti “don’t lose the plot” e non l’hanno fatto.

“Alaskans” dà  il tono di tutto l’album: è a metà  strada tra i buoni sentimenti di una “Starshollow” qualsiasi o di quello che mi aspetto di leggere in “Shotgun Lovesongs”, del tipo The last time that I saw you|You had me housed up on your red, red road, e una certa crudeltà  di fondo ““ sezionarsi su un tavolo operatorio, con gli organi esposti all’aria, lo sapevi che il cuore che non è più grande di un pugno chiuso? ““; si chiude con “The shower” di Bukowski: un uomo che si ubriaca perchè se dovesse morire accadrà  in my sleep instead of in my life | Amen. C’è una cosa che di recente ha detto Vernon in un’intervista, che continua a tornarmi in mente: ci sono cose più importanti ““ dice ““ e complicate delle relazioni o di un certo modo lacrimoso di parlarne e va bene così, va bene anche parlare di altro; che non ogni lettera è una lettera d’amore e Eugenides si sbaglia, insomma. See ““ continuava la poesia di Bukowski ““ I’m getting this way, sentimental | Shit, I’m sorry: “Repave” si salva dalle cadute nel sentimentalismo ricattatorio; non che parli poi davvero di altro, ma l’ho trovato liberatorio.

Così guardo una puntata di “Grey’s Anatomy” e che sia un po’ uno stigma sociale non mi interessa, nonostante tutti i suoi abusi musicali tra un intervento al cuore e una proposta di matrimonio (ho contato pure addirittura un’insolita Zola Jesus usata in modo improprio); eppure, “Repave” mi ricorda che c’è un modo di suonare e parlare delle stesse cose in modo più asciutto e sincero. Non stiamo salvando la vita a nessuno, non stiamo parlando di massimi sistemi, siamo sempre nello stesso punto e forse è l’unico in cui vale la pena di stare, ma ci sono sfumature anche qui e Justin Vernon ha ancora molto da dirci, per fortuna.

Repave
[ Jagjaguwar – 2013 ]
Genere: alt-folk, songwriting
Rating:
1. Tiderays
2. Acetate
3. Comrade
4. Byegone
5. Alaskans
6. Dancepack
7. Keel
8. Almanac