In molti forse si erano già scordati o relegato alla memoria quello che alcuni tempi fa veniva chiamato il New Acoustic Movement, ma a ricordarlo ““ anche se in maniera meno spigliata di allora, ritorna il logo di Gale Pardjanian e Olly Knights, ovvero i Turin Brakes in un disco di rimembranze e ““ se si può osare ““ di riconferma a distanza di tale Movimento; “We Wrere Here” è un disco ““ il sesto in studio – corale che però sembra mai uscito dalle canonizzazioni di allora, una sensazione come se il tempo per la band non sia mai passato, restituendo all’ascolto l’alchimia intera ma “datata”, non perchè senza senso, solamente per una non riaccordata d’aggiornamento che paga subito pegno e fa penalty nel girone del già sentito e stra-sentito, della serie cose buone ma digerite ad oltranza, a crepapelle.
C’è di mezzo Steve Albini che ““ messi da parte nel tempo ““ spezzoni e frame analogici della band fino a costruirne l’ossatura per questa registrazione, da come sempre il meglio di sè per spiazzare qualsivoglia reputazione avvincente, ma ““ abiurando colpevolizzazioni di bassa lega o “criticherie” da pianerottolo, la ciambella questa volta pare senza buco, o perlomeno, senza un interesse pieno che possa far gridare un osanna et similia. Quello che la duo/band inglese riprende in questo disco è l’assodata verve sonora che da sempre li ha contraddistinti, testi rassicuranti, belle melodie col gancio radiofonico, colori tenui e mai sgargianti e tutta quella soddisfacente sonorità (scuola intransigente per tanti Mumford & Sons a venire) che tutto sommato piace e fa innamorare come sempre, in poche parole un simpatico “niente di nuovo” se non la copertina e pochi altri dettagli ricercati.
Malinconia, anni Settanta, febbricine brit e tutte quella garanzie di bello come marchio di fabbrica, ma poi anche il titolo tradisce le aspettative, quel tradotto “Eravamo qui” che la dice lunga sullo “stanziale” in cui il duo fa stallo; tuttavia ““ accontentandosi pacificamente – per riempire una bella carica notturna di suoni, qui dentro c’è da sbizzarrirsi quanto basta, la bella cavalcata pop-soul “Dear dad”, le ballate strappa anima “Part of the world”, “No mercy”, un Neil Young che passeggia in “Sleeper”, la bucolica arietta di “Erase everything” fino a raggiungere l’ending country-folk tutta intimità e tenerume di slide “Goodbye”, poi il disco zittisce, e alla fin fine si perdona tutto, sebbene niente di nuovo all’orizzonte, e si dibatte su di un bel disco anonimo, che attraversa la strada degli ascolti, senza percorrerla. Ma, a scanso di equivoci, bentornati Turin Brakes, cè sempre di peggio dintorno!