Ne sono passati di anni da quando Neil Halstead militava negli Slowdive, band che col suo sofisticato dream pop venato di sfumature shoegaze ha accompagnato i pomeriggi e le serate degli ascoltatori più attenti nei primi anni novanta. Un’esperienza molto diversa da quella del suo progetto successivo, quei Mojave 3 che ormai sono in pausa di riflessione da fin troppo tempo, anni in cui Halstead si è dedicato a una solida carriera solista. I Black Hearted Brother, la sua ultima avventura, sono un gruppo formato con vecchie conoscenze come Mark Van Hoen (Seefeel, Locust) e Nick Holton (Holton’s Opulent Oog, Coley Park).
“Stars Are Our Home” è un disco in cui i tre hanno consapevolmente deciso di non editare, di non tagliare le canzoni. Lasciando spazio all’istinto, senza preoccuparsi di cercare uno stile o una direzione precisa ma seguendo il flusso delle idee e del momento. Una “guilty pleasure” a detta di Halstead e Van Hoen, che mette insieme l’anima dei primi Seefeel e degli Slowdive più sperimentali con il piglio degli Spacemen 3, i beat forsennati del Mark Van Hoen solista (aka Locust) e la dolcezza dei Mojave 3 migliori in dodici brani di quello che il buon Neil ha definito ironicamente lungo e indulgente space rawk.
Un album dalle mille sfumature, costantemente in bilico tra rumore e quiete, sogno e incubo, ordine e caos, in cui le stelle diventano di volta in volta i luoghi del cuore romantici e familiari descritti in “Take Heart” oppure posti inafferrabili, minacciosi e sconosciuti ma sempre pieni di fascino e mistero. Che conquista passando fluidamente dallo space rock della strumentale “Stars Are Our Home” alla psycho elettronica di “My Baby Just Sailed Away” e “Oh Crust”, allo shoegaze di “(I Don’t Mean To) Wonder” in cui parole e voce vengono usate con parsimonia per creare un’atmosfera intensa e sognante. Che diverte con una “Got Your Love” che inizia come “2001 Odissea Nello Spazio” e finisce in discoteca. Che stupisce grazie a ballate come “I’m Back” e “If I Was Here To Change Your Mind”, che devono tanto ai Velvet Underground. Che è capace di stregare con una “UFO” che mescola chitarre taglienti e melodia. Che spiazza con le mille anime di “Time In The Machine”, brano che non avrebbe sfigurato su “Pygmalion” e “Souvlaki”. Che non ha paura di sporcarsi le mani col pop psichedelico sixties di “Look Out Here They Come” e con quello garbatamente elettronico di “This Is How It Feels”.
I Black Hearted Brother dimostrano di poter essere degni esponenti di quella nuova ondata spazial-psichedelica che ha invaso i cieli e le cuffie di tanti appassionati di ogni latitudine negli ultimi anni. Riuscendo a ritagliarsi un ruolo di assoluto rilievo a fianco dei vari Hookworms, Follakzoid, K-X-P, Pond, Tame Impala, in un panorama ormai affollatissimo ma sempre ricco di sorprese. “Stars Are Our Home” insomma è il disco giusto al momento giusto, uno di quelli che ti fanno viaggiare con la mente per ore e conoscere cento pianeti diversi. Una grande prova per Halstead, Van Hoen e Holton, musicisti dal cuore nero e dal talento sopraffino.
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2. (I Don’t Mean To) Wonder
3. This Is How It Feels
4. Got Your Love
5. If I Was Here To Change Your Mind
6. UFO
7. Time In The Machine
8. Oh Crust
9. Take Heart
10. My Baby Just Sailed Away
11. I’m Back
12. Look Out Here They Come