The dream of the 90’s is alive in Portland cantavano Fred Armisen e Carrie Brownstein nella serie TV Portlandia inneggiando alla Portland alternativa, indie ed open mind. Le due band che si sono alternate stasera sul palco del Circolo fotografano a modo loro proprio quella Portland e ci fanno in parte scivolare 15 anni indietro.

Meno di 30 persone in sala, qualche birra sbevucchiata ciondolando nel giardino del Circolo grazie a temperature ancora gradevoli e salgono sul palco i Ghost to Falco.
Solo in tre riescono a creare consistenti e dense atmosfere cupe riesumando proprio gli anni ’90 con vaghe sferzate stoner e slow core tenendo sempre il ritmo serrato. Alternano momenti di assoluta malinconia e languore a climax coinvolgenti come nella progressione di “Enemies Calling” e della più orecchiabile “The End”. Diversamente da molte band spalla al termine del loro set penso: un altro pezzo lo avrei sentito volentieri.

Veloce cambio strumentazione, mitraglietta caricata e si inizia con il fuoco continuo dei Thermals. I tre, a differenza dei concittadini sono invece molto basic e diretti in tutto. Strumentazione all’osso, nessun cambio chitarra, niente tom e timpani alla batteria e solo un paio di distorsori in tutto: nudi e puri per un live che può essere definito frenetico, sudato e carnale.

Il suono è chiaramente (e per fortuna) più acerbo che su disco ed anche se l’amplificazione in sala non valorizza al massimo l’efficace voce nasale di Hutch Harris, l’energia che trasmettono è comunque qualcosa di palpabile ed apprezzabile solo live. Harris davanti all’asta sembra tarantolato e le canzoni vengono sparate senza un secondo di sosta, come una vecchia cassetta dei Black Flag dove non si riusciva a capire la fine di una canzone e l’inizio della successiva.
“Desperate Ground”, prima pubblicazione su Saddle Creek dopo gli anni passati su Sub Pop e Kill Rock Stars, viene disseminato per tutta la setlist. I pezzi evocano troppo il devastante “The Body, The Blood, The Machine” del quale sembrano essere un sequel meno riuscito e non si capisce se il punto di vista politico si sia solo nascosto o sia sparito del tutto come nel live dove con un “Goodevening” dopo 10 canzoni Harris liquida il pubblico per tutta la serata.

I Thermals coinvolgono, fanno divertire ed agganciano facilmente servendo al meglio le loro melodie power-pop in salsa garage-punk ma sulla lunga distanza risultano ripetitivi e un po’ piatti. Sono riusciti a mettere in fila un buon numero di canzoni orecchiabilissime, forse fin troppo semplici, che ti si conficcano in testa come jingle pubblicitari e magari non starebbero nemmeno male nella pubblicità  di qualche auto, ma sono poche le canzoni che staccano un po’ (“Our love survives”) e che danno un po’ più di corpo alla band ed al live. In più i ragazzi di Portland in Italia non hanno un seguito importante come in America e le poche decine di persone presenti non hanno potuto ricreare la folla sudata, spasmodica e pulsante che accompagna i loro concerti oltreoceano e che contagia inesorabilmente il resto del pubblico e la band stessa.
Il live vola quindi senza alti nè bassi, nessun intoppo ma nessun momento da incorniciare come la performance in mutande di Harris a New York lo scorso Marzo.

Harris, Foster e Glass ci portano la loro formula standard: onesti, semplici, nessuna pretesa, rock ed energia, ma è sicuramente più che sufficiente dato che la maggior parte dei loro colleghi si sono ormai dimenticati come si fa a far rock e sudare.

Setlist:

YOU WILL FIND ME
RETURNING TO FOLD
BORN TO KILL
YOU WILL BE FREE
I MIGHT NEED TO KILL YOU
AN EAR FOR BABY
HOW WE KNOW
FACES STAY WITH ME
THE HOWL OF WINDS
IT’S TRIVIA
BRACE AND BREAK
NO CULTURE ICONS
I DON’T BELIEVE IN YOU
ST. ROSA AND SWALLOWS
THE SWORD BY MY SIDE
THE SUNSET
OUR LOVE SURVIVES
A PILLAR OF SALT
NOW WE CAN SEE
HERE’S YOUR FUTURE

-Encore-
OVERGROWN, OVERBLOWN!