Se si potesse paragonare questo disco a un vegetale, lo si potrebbe benissimo paragonare alla dolcezza e alla sostanza tenera di un gambo di sedano, tanto morbido e sognante da sembrare un arcobaleno spezzato dalla luce del cielo e volendo ci si perderebbe nella varietà dei paragoni che esso suscita e che infonde; tra un disco e l’altro sotto il moniker Sodastream (grandi caratteristi della scena dell’indie-rock 90/2000) Karl Smith ““ voce e chitarra della formazione australiana si cimenta in questo suo primo esordio solista, “Kites”, un lavoro che mette subito in mostra l’affezione che l’artista ha per le sfumature indie-folk, quella rotazione d’animo che difficilmente porta ad esprimere un giudizio sotto la media della bellezza, uno di quei dischi dei quali si prende tutto e non si getta nulla, da giurarci sopra con la mano sul fuoco.
Dieci tracce che il frontman della band di Perth fa volare in alto, appunto “Aquiloni” che si slegano dalla monotonia e dalle infatuazioni commerciali, un senso compiuto e poetico che si carica di arie, ballate delicate e “scoppia” dentro la dolcezza straordinaria di cose che sembrano venire da uno straniante ieri, da una accumulazione di pensiero che vuole disfarsi dei legacci del consueto per approdare al suono della popular music intesa come suggestione affascinante e perfetta per la semplicità degli ascolti; rimane da parte dell’autore l’immagine anti-rockstar di sempre, e alla guida della sua musica di suoni e parole – qui dividendosi tra chitarra e tastiera ““ compone un disco straordinario, ancora e per fortuna vergine dagli arrembaggi da classifica a cassetta, una tracklist dedicata alle tipiche specialità sonore che rendono frizzanti e ben predisposte lunghe giornate piatte e ordinarie a venire.
Smith si circonda di trombe, tromboni, celli e violini e traccia percorsi e circonferenze immaginifiche come l’arco atmosferico di “After Mr.Morrison”, il cameo folkly che si fa camtilena sognante “I want you”, i soul del brivido “Slow short story”, “I know Julia” finendo la sua corsa in “Everything”, una confessione tenue come un filo di luna che filtra attraverso la crepa di un vetro appannato, e che saluta l’ascolto di questo piccolo miracolo dell’arte dei suoni e delle parole.
Bello sotto tutti gli aspetti che si possano elencare, una tavola semplice e ghiotta imbandita a puntino dopo una lunga carestia, una stramaledetta lunga carestia musicale. Da avere.
2. Little lucy
3. I want you
4. Glass eye
5. Hang our bodies
6. Crotchets
7. Slow short story
8. I know Julia
9. Voices
10. Everything