I can make it a little less destructive
Al concerto di New York, M.I.A. non aveva le bad girls, ma Julian Assange in collegamento Skype (che, si dice, dovrebbe aver collaborato a “atTENTion”). Va al SuperBowl e mostra il dito medio alle telecamere, la NFL la denuncia per una cifra improbabile e lei dice che là la cosa offensiva non era certo il suo dito medio ma le ballerine vestite da cheerleader sexy (fantasia porno #1). A luglio esce la notizia di un suo documentario, in cui Maya parla, tra le altre cose, del padre, attivista delle Tamil Tigers; parla dello Sri Lanka e le dicono che è una terrorista, risponde infuriata che essere dalla parte di chi subisce non è da terroristi, e che basta avere un padre come il suo per essere accusata, ma anche senza è uguale. Il disco doveva uscire entro l’anno o lei lo avrebbe reso pubblico e al diavolo la casa discografica.
M.I.A. è arrivata al punto in cui può dire quello che le pare e non (le) succede niente. E questo è un problema, anche.
Torna a un suono più pulito, più catchy e pop rispetto al criticato “MAYA” (2010) e “Matangi”, la seconda traccia che dà il nome all’album, è il risultato migliore di questa nuova fase di M.I.A., che non prevede grandi novità dal punto di vista musicale, ma una produzione più matura, di chi è stato, anche suo malgrado, consacrato in un panorama di grandi nomi, grandi produzioni. “Warriors”, “Come walk with me”, “Bring the noize”, si fa davvero fatica a trovare una traccia debole: si va ““ come sempre con lei ““ dal rap al rn’b al raggae al noise all’elettronica, sotto la supervisione della divinità Hindu che sovrintende alla musica (e con cui lei condivide il nome).
In “Exodus” e “Sexodus” campiona The Weeknd, ma sono gli episodi meno entusiasmanti del disco. O forse in generale, “Matangi” non è entusiasmante, manca della capacità di incidere: difficile dire cosa andasse cambiato, però assomiglia a una versione matura e pulita di qualcosa che abbiamo già sentito. Quando in “Bring the noize” dice I’m so tangy, people call me Mathangi/Goddess of word, bitches I’mma keep it banging siamo sicuri che sia ancora così? In un’intervista dice che le era stato insegnato che if you’re making music, don’t talk about politics. If you’re talking about politics, don’t wear lipstick. If you’re dancing in a club, don’t talk about Sri Lanka e che lei è allergica ai consigli ed è per questo che la amiamo, per il lipstick e la politica, insieme. No, lei non sarà Dalai Lama/ain’t Sai Baba, ma non stiamo parlando solo di musica qui.
Cosa fai quando scopri la ricetta giusta, l’equazione che devi applicare perchè le cose vadano bene?
M.I.A. sembra cosciente del paradosso: da una parte è sempre più potente ““ “Matangi” è un disco che si è aspettato con impazienza ““ ma le pistole che si trova a avere in mano (visibilità , fama, riconoscimento) sembrano caricate a salve. E lei sembra ribellarsi a questo, systems shouldn’t operate by sticking me in a cage dice in “Karmageddon”, o just cause the game is up doesn’t mean I didn’t win e making money is fine, but your life is one of a kind (“Only 1 U”). Fare soldi, diventare famosi non è una colpa, fare un disco in cui sembra che ti sei preoccupata solo di applicare il trattamento giusto a ognuno dei pezzi, beh, è un problema, anche quando il risultato è esteticamente impeccabile. Quando in “Matangi” legge una lista di paesi del terzo mondo a me sembra solo un trucchetto fantastico, poco più.
“If you’re gonna be me you need a manifesto/If you ain’t got one you better get one presto ” è con ogni probabilità il verso più citato del nuovo disco: sì, it takes a muscle to be M.I.A., serve anche un manifesto, solo che quello che si trova a proporre sembra un ammasso confuso di polemiche contro lo strapotere di Internet, contro un sistema che ha perso tutti i connotati di riconoscibilità , un incitamento alla rivoluzione che è vago e distante, ma in una confezione ineccepibile. Le intenzioni della lady of rage erano altre, il risultato è questo e, nonostante tutto, continuo a preferire “Bad girls” rispetto a tutte le altre.
This is a little less distructive, indeed.
Credit Foto: Henry Laurisch / CC BY-SA