Anche in un anno ricco di uscite meritevoli come questo 2013 non sono mancate opere ambigue, capaci di spezzare pubblico e critica sulla loro interpretazione: una di queste è sicuramente il chiacchierato “Yeezus” di Kanye West, mentre più recentemente è “Wenu Wenu” di Omar Souleyman a smuovere le opinioni più contrastanti. Di fianco a chi grida al capolavoro per il primo disco di inediti (affidati alla sapiente produzione di Four Tet) del cantante siriano, non manca infatti chi lo paragona ai nostri neomelodici e bolla il tutto come mera operazione commerciale.
Al solito, la realtà sta probabilmente nel mezzo (e sì, forse la realtà è proprio democristana) perchè “Wenu Wenu” non è una porcata assoluta, ma il personaggio di Omar è tutt’altro che trasparente e dunque il paragone sopracitato non è affatto fuorviante: con i neomelodici Souleyman condivide un background di feste per matrimoni e altri ricevimenti, i rapporti poco chiari con il potere e la volontà di aggiornare il proprio repertorio musicale con discutibili trovate contemporanee (un uso dell’elettronica facilone e confusionario che soltanto l’intervento di Kieran Hebden riesce a rendere sopportabile per un intero disco).
E allora i momenti migliori dell’album, quelli di capace di sfuggire alla tamarraggine solita di Omar e di lasciarsi contaminare dalle mani esperte di Four Tet, si riducono ad alcune tracce (il sofisticato gioco di volumi in “Nahi”, il gusto psichedelico della conclusiva “Yagbuni” e l’irresistibile groove del singolo “Wani Wani”), mentre il resto appare comunque monotono, non lontano dallo stereotipo di musica per luna-park arabi che in tanti hanno evocato.
Un’occasione non pienamente sfruttata, questo è “Wenu Wenu”: un esperimento in cui lo stile volutamente ripetitivo e monotono di Omar Souleyman non riesce a fondersi completamente con la ricercata elettronica di Four Tet.