La band veneta torna, dopo tre anni abbondanti dall’uscita “Dei Cani”, con un album che rappresenta la quarta prova nei quattordici anni di attività del gruppo, e che riconferma l’inclinazione dei quattro componenti (Fabio de Min, cantante e pianista, Marcello Balatelli alla chitarra, Martino Cuman al basso e Igor de Paoli alla batteria) per arrangiamenti raffinati, una musicalità molto curata, classica, senza disdegnare passaggi elettronici, movimentata nei momenti giusti, mai scontata. Dalle tracce, considerate nel suo complesso, emerge con chiarezza che il gruppo continua ad ispirarsi a Tenco, agli Smiths, ai Beach Boys, come già era stato detto per i lavori precedenti.
I titoli delle canzoni sono semplici, articolo e sostantivo: “Lo Zio”, “Le Anitre”, “La Caccia”. Come se appartenessero ad un filo unitario, racconti che si aprono davanti ai nostri occhi con il loro inizio e la loro fine: i tradimenti di una giovane coppia in “Le Mogli”: l’amore finchè dura, poi resta la paura, il tempo che passa per un uomo, la sua rassegnazione nel brano ” Lo zio”, le inquietudini malinconiche che emergono da “l l’escamotage, canzone sulla fine dell’amore, su tutto quello che comporta la delusione, un brano che va in crescendo come la sensazione di vuoto che prende quando una relazione finisce e qualcuno se ne va dalla nostra vita per sempre: dall’oggi al domani bruciare le tue lettere, dall’oggi al domani eludere gli sguardi della gente che da domani mi chiederà di te.
Poesie, storie prese dalla quotidianità che si susseguono permettendoci una visuale completa di ogni situazione, come se fossimo davanti ad un palazzo e potessimo guardare all’interno di ogni singola finestra, pezzi di vita che si sfiorano e si guardano da lontano.
Un album che inizia con la malinconia e termina con la tristezza, il brano “La Caccia” è forse il più nostalgico dell’intero disco: approfittando di tutta quanta questa felicità ho deciso di partire.
Un album che dissemina, per tutti i trentacinque minuti di musica, sensazioni contrastanti: dall’amarezza, alla rassegnazione, al vuoto, al senso della fine. Tutto questo senza rattristare, anzi. Quasi confortano questi brani così disincantati e a tratti rassegnati, cullano in una malinconia tranquilla e pacata, quasi in pace con se stessa.
Un album da ascoltare in quei momenti in cui l’angoscia prende, in maniera inesorabile e piuttosto che avere intorno amici e persone che dipanano consigli e sminuiscono i nostri tormenti avremmo bisogno di qualcuno che dica: capisco il tuo malessere, e non posso farci niente, ce l’avrai per sempre, a volte sarà meno forte, certi giorni sarà quasi soffocante”…. Ma non sei solo, no
Per concludere un lavoro che va dalla rassegnazione ad una speranza quasi rabbiosa, un incitamento alla ribellione, anche se placida e destinata al fallimento, un invito a non sopprimere i pochi e flebili istanti di felicità che incontriamo nella nostra vita, anche se destinati a finire, perchè sono proprio quei momenti che ci permettono, nonostante tutto, nonostante le delusioni e il vuoto, ad andare avanti in questo mondo che sta perdendo sempre di più la sua dimensione umana.