Con un solo album all’attivo pubblicato nel 2013 (“Silence Yourself”) più un ep dell’anno precedente, le Savages hanno già  edificato un apparato di riferimenti dall’identità  schiacciante. Questa cosa era già  evidente nel manifesto legato all’album: tra l’altro la scelta del genere manifesto, più chiaro di così non si può. E al concerto al Tunnel di Milano del 24 febbraio ne ho avuto conferma. Se tra le funzioni degli artisti c’è quella di rappresentare qualcosa, di generare simboli in cui portare gli altri a riconoscersi, queste quattro ragazze inglesi rientrano a pieno titolo nella categoria.

La serata è una vera messa in scena legata a doppio filo al passato e al presente, e si respira un’aria post-punk rielaborata, sì, ma in chiave mica troppo moderna. Direi invece astratta, un po’ fuori dalle coordinate.
Quando le ragazze si presentano – poco dopo le 22, cioè abbastanza puntuali, ahimè, per gli standard nostrani – tutto ruota attorno a quella che secondo me è una sorta di estetica delle tre F: femminile fendente fondante. E con i tacchi che sorprendono sotto una divisa minimalista (Jenny Beth, la cantante, li porta sempre, anche se io sono troppo distante per vederla nei dettagli), qualche sonorità  distorta e una palese padronanza del palco non deludono questa aspettativa.

L’attacco, con “I Need Something New”, è moderato. Jenny Beth prende confidenza con la situazione lentamente, un po’ spaesata nella sua aura severa e fragile alla Ian Curtis. Ma ho l’impressione che tra le ragazze ci sia una sorta di patto fraterno di mutuo soccorso. Se vacilli, ci sono io, sembra dire Gemma Thompson con la sua chitarra in “City ‘s Full”, per garantire un suono forte e chiaro, una rete su cui sdraiarsi e muoversi senza resistenze.
La stessa sicurezza sembrano trasmetterla anche Ayse Hassan al basso e Fay Milton alla batteria. E nonostante l’acustica non sia nitidissima, i suoni colpiscono dirompenti.

Dopo una incalzante e tribale “I’m Here”, l’arrivo di “Shut Up” è una specie di giro di boa che in un rapido crescendo dall’inizio del concerto ci porta alla piena accelerazione. Il ritmo è frenetico, forse anche perchè questo pezzo è portavoce ufficiale del Manifesto del silenzio (The world used to be silent / now it has too many voices and the noise is a constant distraction / they multiply, intensify / they will divert your attention to what’s convenient / and forget to tell you about yourself ) e declamare i manifesti è importante ma ancora di più è metterli in pratica. A questo punto la ricerca di un equilibrio è decisamente conclusa e l’assestamento raggiunto. Da ora l’atmosfera è davvero compatta e ci si può solamente abbandonare alla musica.

Con “Waiting for a Sign” ci ritroviamo avvolti nello struggimento. Poi, chiusa la parentesi di “Dream Baby Dream”, cover dei Suicide che personalmente trovo interessante solo per assentarmi un istante e distrarmi con altro, JB annuncia che dopo questo tour le Savages si fermeranno per un po’. La reazione dal pubblico è di disapprovazione ed è buffo con quale repentinità  possano cambiare i registri perchè per un istante la messa in scena diventa teatrino, con la gente immusonita. Ma insomma, visto che siamo ancora qui, godiamocela, dice Jenny, che sembra tenere particolarmente ai fans in sala.

Si riattacca con “She Will”, altro giovane caposaldo della band, di immediata efficacia, e si continua prima con l’energica “No Face” e poi con “Husbands”, un pugno nello stomaco che parla di allucinazioni quotidiane e corpi estranei sotto lo stesso tetto.
Missione quasi compiuta. Con “Fuckers”, ultimo, splendido pezzo che ci fa perdere in una trance da riff, possiamo ritirarci. è stato breve ma intenso. Mentre ciondoliamo ancora cullati dalla rotondità  del basso, annuiamo soddisfatti pensando che abbiamo fatto proprio bene a venire qui stasera.

Setlist
I NEED SOMETHING NEW
STRIFE
CITY’S FULL
I AM HERE
SHUT UP
WAITING FOR A SIGN
DREAM
SHE WILL
NO FACE
HUSBANDS
HIT ME
FUCKERS