La prima cosa che balza all’occhio osservando il nuovo disco dei The Men è la copertina. Ormai abbandonato da tempo il classico stile vinile tipico dei prodotti Sacred Bones, la band di Brooklyn ha optato per una grafica che ricorda vagamente quella scelta dai Kings Of Leon per il loro “Mechanical Bull”. Quasi volessero dire: occhio fratelli Followhill, che arriviamo noi a togliervi il posto. Fortunatamente non è così.
“Tomorrow’s Hits” è stato registrato ai Strange Weather Studios di New York in soli due giorni con l’aiuto di una compatta squadra di musicisti jazz e completato addirittura prima di “New Moon”, l’album con cui i The Men avevano salutato il 2013. Otto canzoni scelte tra più di quaranta demo realizzati in tre mesi, tanto per non smentire la fama ormai ben consolidata di band tra le più prolifiche tra quelle nate negli ultimi anni.
“Things Will Be Different” avevano dichiarato i The Men sul loro blog qualche tempo fa. Vista l’evoluzione musicale che li ha portati a passare a tempo di record dal rumore folle di “Immaculada” a canzoni ben più accessibili fino a flirtare apertamente col country nel recente “Campfire EP”, c’era di che preoccuparsi. Mica vorranno diventare la classica band da classifica, di quelle senza arte nè parte?
Ma basta il singolo “Pearly Gates” a fugare ogni dubbio. Sembra uscito da Nuggets o da un’altra compilation di perle garage sixties: suono sporco, una sezione di fiati molto funky in sottofondo (sarà una costante di buona parte delle otto tracce), l’armonica che detta il tempo e tanta squisita depravazione. I ragazzi di Brooklyn sono ancora vivi e vegeti, insomma. E se gli viene voglia di mettere insieme un sound ispirato ai dischi Motown e Stax, un sassofono trascinante in pieno stile E- Street Band, un basso potente, un organo che non si capisce bene dove vada e l’anarchia melodica dei The Replacements come succede in “Going Down”, “Another Night” e “Different Days”, beh lo fanno e basta.
I The Men sono tornati, cambiano ancora una volta pelle e anima. Coinvolgenti as usual, difficili da incasellare in un genere specifico, come al solito si prendono la libertà di metterne insieme molti: blues, garage, il roots rock delle romantiche “Sleepless”, “Settle Me Down” e “Dark Waltz”, il pop intelligente di “Get What You Give”. Divertendosi a omaggiare il passato, senza scopiazzarlo troppo. Più compatto del precedente “New Moon”, “Tomorrow’s Hits” è una miscela eclettica, rischiosa ed esplosiva che poteva finire molto male. Però nelle mani di Mark Perro, Nick Chiericozzi, Rich Samis, Ben Greenberg e Kevin Faulkner funziona e anche bene.