L’accostamento tra premio oscar e Matthew McConaughey è sempre stato ritenuto perlomeno improbabile.
Anche al sottoscritto è sembrato spesso piuttosto limitato e povero di spunti.
Non mancavano, a memoria di noi appassionati di cinema, momenti che connettevano i due, apparentemente, lontani mondi (“Il Momento di Uccidere”, “Amistad”, ecc ,ecc ) ma avevo l’impressione che si trattasse di pochi sporadici episodi. Basta infatti addentrasi con più attenzione per scoprire che la carriera dell’attore texano è stata guidata soprattutto dal suo aspetto: è stato per la maggior parte delle sue pellicole un donnaiolo, uno scapolo, un fidanzato perfetto, ruoli cuciti addosso al fascino da belloccio impenitente, all’uomo da conquistare, al donnaiolo che alla fine si redime (“Prima o poi mi sposo”, “Come farsi lasciare in 10 giorni”, “A casa con i suoi”,” La rivolta delle ex”, “Tutti pazzi per l’oro”,ecc,ecc)
Insomma tanto glamour per poco talento.

Ma questo stesso personaggio che ottiene grandi successi e accumula premi per la sua bellezza, fino a diventare l’uomo più sexy del pianeta, decide all’alba del 2013 di maturare professionalmente. Un cambio di rotta improvviso che a 44 anni ha il sapore della ” svolta “. Comincia allora a rifiutare i soliti stereotipati ruoli, i roboanti cachet ed i film che era solito fare semplicemente smettono di arrivare. Ecco allora nuovi scenari, nuovi copioni ( “Killer Joe”, ” Magic Mike”, “The Paperboy”, “Mud”) importanti registi. Il fascinoso texano si reinventa attore, convince ed ammalia mettendosi alla prova e tirando fuori il talento, dimostrando finalmente quello che sa fare. Ecco allora arrivare un emaciato, smagrito, omofobo, volgare, macho ed egoista Ron Woodroof, elettricista texano malato di Aids nel “Dallas Buyers Club” di Jean-Marc Vallèe.

Siamo nella metà  degli anni 80, un decennio che brancola nel buio nella ricerca medica e nella convinzione che il virus dell’HIV sia una cosa da gay e tossici. Ma l’arma principale del protagonista è la sua istintiva capacità  di lottare contro l’ignoranza e l’omofobia che accompagna la sua malattia, quanto di ricercare un rimedio, prima con ciò che offrono le case farmaceutiche (l’AZT), poi rivolgendosi a terapie alternative e infine, convintosi della loro efficacia, organizzando un’attività  imprenditoriale per fornirle ad altri malati. La pellicola diviene allora uno spettacolo di eroismo, uno show di sopravvivenza, che ridisegna continuamente i contorni di un personaggio prima drogato e sbruffone ora fraterno Robin hood. Fa incetta di clienti per salvare vite, diviene un benefattore, gira il mondo a caccia di medicine, incontra sulla sua strada uno straordinario Jared Leto, transessuale eroinomane, che gli stravolge la vita. Lo spettatore è come ipnotizzato: si assiste incantati alla performance, vediamo un uomo nuovo, malato e combattivo. Un uomo migliore. Emerge la pretesa eroica di rappresentare ” tutti i malati “, il destino disegnato di tanti sfortunati, d’interpretare l’anima della sofferenza più buia. Il tutto dalla stanza di un motel, adibita ad ufficio, dove il rozzo texano assurge al trono di un ” popolo ” che lui stesso rappresenta.

Si realizza allora un film crudo e commovente, straordinario ed impegnato, corroborato oltretutto da una regia impeccabile e storicamente dettagliata. La sceneggiatura è solida, il ritmo è incessante ma ancor più è il merito di non banalizzare mai il dolore presente nel travagliato percorso del protagonista e di non voler cercare soprattutto una lacrima facile che va da se’ arriverà  spontaneamente. E con merito.
Possiamo ammetterlo: l’accostamento tra premio oscar e Matthew McConaughey è da ritenersi una certezza dei nostri tempi.