Lo scorso semestre, il mio professore di Comunicazione Persuasiva mostrò in classe un esempio di show a tutto tondo, “The Wall” dei Pink Floyd. Show a tutto tondo nel senso non solo musicale ma anche visivo, persuasivo, live nel senso più tangibile del termine. Ora, senza nulla togliere a tutti i concerti cui ho avuto la fortuna di assistere negli ultimi anni, posso dire anch’io di aver partecipato ad un evento del genere. Gli Arcade Fire suonano nella città  più vicina possibile, e si va, con un biglietto comprato mesi fa e non utilizzato perchè c’è la possibilità  di lavorare come volontario per Arcade Fire Loves Haiti (tale scelta mi frutterà  più di un “semplice” concerto*). Gli Arcade Fire ci arrivano tardi, per la verità , ad organizzare uno show magniloquente quanto loro, uno show con i controcazzi. Per dire, Lady Gaga e Miley Cyrus già  lo fanno da un pezzo, ma qui ad essere con i controcazzi non è solo lo show ma anche la musica.

Ecco quindi che arrivo allo Starlight Theatre di Kansas City con i miei compari Said e Mathilde (un italiano, un messicano e una francese, insomma una gag) con largo anticipo, verso le 16:30. Win Butler e i suoi sono impegnati nel soundcheck: provano “Empty Room”, “We Used To Wait” e “(Antichrist Television Blues)”.
Lavoriamo fino alle 20:30, avvicinando gente e scambiando informazioni a proposito di Arcade Fire Loves Haiti, ammirando i costumi più disparati, taluni meravigliosi, talaltri obbrobriosi.
Sono stato ringraziato, sono stato ignorato, sono stato quasi cacciato.
* E poi sono stato il “reflektor” di Richard Reed Parry.

Ore 20:45. Gli altri volontari ed io, armati di bobbleheads, veniamo mandati in mezzo alla platea a ballare, senza vedere molto per la verità  (sotto quelle cose si malrespira e si può vedere qualcosa ma qualcosa-qualcosa solo attraverso le narici). Raggiungiamo Win intorno al B-stage posizionato al centro della venue, mentre il resto della banda fa un casino infernale sul palco. Si inizia con “Here Comes The Night Time”, ed è un carnevale in festa. Intravedo gente che mi (ci) balla intorno, che mi (ci) abbraccia scattando foto. Ballo, molto. Probabilmente come un cretino macchissenefrega. Via le maschere in uno sgabuzzino medievale e torno a godermi il live. Il palco – ora lo vedo – è sovrastato di specchi; lì sopra in tutto sono 15 tizi, con una sezione di fiati, due percussionisti probabilmente haitiani, due batterie, tastiere a go-go.

Se sei un filologo delle setlist (e io sono un filologo delle setlist), lascia perdere. Gli Arcade Fire amano giocarci, mescolando le carte ogni manciata di show. Ecco allora la succitata “Here Comes The Night Time” posta in apertura, quando nel 90% dei casi aprono con “Reflektor” o “Normal Person”; dei tre pezzi provati nel soundcheck viene scelto “Empty Room” (prima parte rallentata, seconda suonata con furia punk); fuori “Tunnels” (di solito cavallo di battaglia live) e dentro addirittura una commovente “Ocean of Noise”, che ben ci sta nel framework del mito di Orfeo ed Euridice.
Gli AF sono maestri nel tenere alta la tensione lungo tutta la scaletta: ormai celebre la transizione noise tra “Power Out” e “Rebellion (Lies)”, così come ormai è un abituè la versione stringata, quasi electro-tribal, di “My Body Is A Cage” che fa da intro ad “Afterlife”. Dopo quest’ultima, Win si piega quasi in preghiera per dar modo a Règine di raggiungere il B-stage. Ed eccola in tutto il suo splendore per l’apice emotivo della serata, “It’s Never Over (Oh Orpheus)”: le teste dei presenti si dividono tra lei, nel mezzo della folla mascherata, e Win che è rimasto sul palco. Ancora Regine con “Sprawl II”, e il primo set si conclude con quel popò di manifesto-della-disillusione di “Reflektor”.

La domanda che si agita durante il break è: quale cover avranno scelto i Reflektors stasera? (E’ loro abitudine suonare un pezzo di una band proveniente dalla città  o dalla regione in cui il concerto si tiene.) La scelta cade su “Dust In The Wind” dei Kansas (anche se in realtà  lo Starlight Theatre si trova tecnicamente in Missouri), resa dai soli Will Butler alla voce solista (a proposito, per me è sì), Tim e il “mio” Richard con una parrucca color platino da far accapponare la pelle. Gli altri tornano quindi ad imbracciare gli strumenti per la doppietta finale “Normal Person” e quello che ormai è diventato un manifesto generazionale, “Wake Up”, con quegli “oooooh ooooooh” che sticazzi se sei stonato, li DEVI tirar fuori.
Sorpresa della serata: “We Exist”, dal vivo elettrica, stroboscopica, suggestiva ed epica ad un solo tempo. Praticamente perfetta.

Di nuovo, uno show con i controcazzi. Con i controcazzi. I controcazzi. Con i controcazzi. Uno show con i controcazzi.

Chiosa: vi consiglio di informarvi su tutte le iniziative in cui gli AF sono coinvolti – “Arcade Fire Loves Haiti”, “Kanpe”, “Partners In Health”. Per ogni biglietto acquistato, un dollaro (o un euro, in Europa), va a questo splendido progetto di ricostruzione e aiuto della terra colpita da un uragano qualche anno fa (Règine è originaria di Haiti, probabilmente lo saprete ma io sono pignolo e lo preciso). E non sono magnamagna, hanno davvero costruito un ospedale con quei soldi. Perciò vi prego: se qualcuno con una maglietta “Arcade Fire Loves Haiti” (potrebbe essere il sottoscritto), ad uno dei prossimi concerti dei canadesi vi si dovesse avvicinare per scambiare qualche informazione in merito alle suddette associazioni, non trattatelo come un venditore ambulante di enciclopedie, o come un Giorgio Mastrota che ha deciso di darsi alla vendita in strada. E’ per una causa nobile, sul serio.

Setlist
HERE COMES THE NIGHT TIME
FLASHBULB EYES
POWER OUT
REBELLION (LIES)
JOAN OF ARC
EMPTY ROOM
OCEAN OF NOISE
THE SUBURBS
THE SUBURBS (CONTINUED)
READY TO START
NO CARS GO
HAITI
WE EXIST
MY BODY IS A CAGE (versione ridotta)
AFTERLIFE
IT’S NEVER OVER (OH ORPHEUS)
SPRAWL II (MOUNTAINS BEYOND MOUNTAINS) (Damian Taylor Remix intro)
REFLEKTOR

ENCORE:
DUST IN THE WIND (Kansas cover)
NORMAL PERSON
WAKE UP

Photo: Krists Luhaers / CC BY