L’arte del “rumore melodico” ossessivo assume diverse forme, una tra le tante è quella deformante esercitata del trio dei Carnenera, un triage di nervosismi, lisergie e doom pads che viaggiano liberamente tra aneliti spacey alla Paik “Twenty-one thousand leagues” e movimenti trascinati, e questo loro disco omonimo è regno incontrastato di un buio a suo modo profondo e apocalittico che se ci cadi non ne torni più su.
Miasmi sulfurei che possono anche reiterare certi spasmi post-metal, e lampi cosmici, sono la costante di un lavoro discografico che cammina, incede sotto un monolitico uso di chitarre, ritmiche e atmosfere giaculatorie senza mai perdere l’equilibrio di una tensione totale largamente ai limiti del solito “metallizzato” casinaro; “suoni compressi e malati” che sembrano nati per essere suonati davanti ai fuochi sacri dello sludge più intransigente, e che attraverso le loro direttrici devastanti disseminano i virus importanti e capaci di irretire anche l’ascolto più distratto. Certo disco da frullare varie volte nello stereo prima di una confidenza assoluta, poi appena il tutto si scioglie la disciplina stilistica dei Carnenera sarà fruibile al millimetro in tutta la sua gittata epidermica.
Nove brani da viaggiarci sopra, nove flussi magmatici che se presi dalla parte della schizofrenia di “Tilikum”, dalle angolazioni Neurosisiane di “La marcia dei triceratopi” ““ con un bel intervento vocale luciferino di Dalila Kayros, catturati dalle asimmetrie prog/jazzly “Nine and then some” o in fuga verso altre galassie liquide e gassose “Self-harm” , ti prospettano una angolazione della vita ““ oltre che capovolta ““ intensamente ancestrale e densa come poche. Carnenera? Carnebuona da divorare con le orecchie!
2. William Blacke
3. La Marcia dei triceratopi
4. Duello
5. Twenty-one thousand leagues
6. William Wallace
7. Nine and then some
8. Tre gatti
9. Sef-harm