Sono passati otto inverni, una rottura sentimentale e artistica da spezzare le gambe e un periodo di auto-esilio in Islanda prima che Damien Rice si sentisse pronto a uscire dall’ombra con un terzo album fra le mani. “My Favourite Faded Fantasy” è il primo senza di “lei” [Lisa Hanningan, ndR]. Allora non è forse un caso che si tratti di un album di bilancio, l’auto-apologia in retrospettiva di chi sa di avere lasciato feriti sul campo ma alza le spalle e tira dritto; perchè alla fine “we can’t take back what is done and what is past” e arriva il momento in cui conviene un po’ a tutti deporre le armi.
In “My Favourite Faded Fantasy” il filtro è impostato sul quel faded, l’immagine sbiadita, la dissolvenza in note leggere e dilatate. L’effetto del vago-sognante funziona benissimo nel brano di apertura che dà il titolo all’album ma diventa già estenuante nel successivo “It Takes A Lot to Know A Men”: nove interminabili minuti, l’ultimo terzo in violini da soap opera argentina, un brano lacrimoso nel modo spiacevole e forzato del fumo negli occhi. In generale, le otto tracce scorrono uniformi e regolari (vedi anche: piatte). Non un sussulto. C’è ancora qualche frammento autentico, non contraffatto (“The Greatest Bastard”, “Trusty and True”), e tuttavia non abbastanza da salvare l’intero.
Il punto è che “O” e “9” avevano un’urgenza, qualcosa come dover buttare fuori la bile, fuck you and what we’ve been through. Una tensione irrisolta che in quest’ultimo lavoro è del tutto annacquata. Verrebbe da dire, se sentimentalismo dev’essere, almeno che sia vigoroso. Le canzoni di Rice non sono sempre state solo litanie buone per i deboli di cuore, difficile non pensare che lo siano ora.
In una recente data italiana Rice sdrammatizzava sui contenuti della sua musica: here’s a bunch of songs about a bunch of feelings. Most of them are lies. Ed è giusto ricordarci che in fondo le canzoni ““ su cui proiettiamo impropriamente anche parte della nostra esperienza ““ altro non sono che costruzioni letterarie. Eppure. Non so se via sia mai capitato di avere davanti qualcuno a cui non volete rinunciare e sperare, sperare davvero, che vi menta meglio di così. Ascoltare “My Favourite Faded Fantasy” è qualcosa di simile. Ecco, Rice sapeva mentirci bene sul serio. Questa volta, è un inganno senza fascino a cui non si può fingere di credere.