Tim Barry è un avventuriero di Richmond (Virginia) che amava e ama ancora salire di straforo sui treni merci e viaggiare su e giù per l’America al grido di “Ride fast, live slow”. Già  voce (e animaccia punk) degli Avail ed ex membro degli (Young) Pioneers, da una diecina d’anni si è dedicato a tempo (quasi) pieno alla carriera solista uscendone rinvigorito grazie a album come l’ottimo “Rivanna Junction” e l’altrettanto valido “Manchester”. Apprezzato (e coverizzato) anche da un certo signore che di nome fa Frank e di cognome Turner, ha aperto i concerti dei Gaslight Anthem qualche tempo fa.

Per Tim Barry il palco (e i dischi) sono un ring su cui combattere contro i propri demoni passati, presenti e futuri per poi salire in macchina e partire sgommando, birra sul cruscotto e bruciare l’asfalto che a star fermi si perde l’anima. “Lost & Rootless” è un disco volutamente minimale, tutto analogico come quella macchina da scrivere marca Royal che capeggia prepotente nel video della title track. Tutto strumenti di legno (chitarra, violino, banjo) e emozioni forti, di quelle che ti restano dentro sia quando il ritmo sale (“Lela Days”, “Breathe Slow, Let “‘Em Pass”, la cattiva “Knowing Such Things”) sia quando il volume si abbassa dolcemente (l’introspettiva “Solid Gone”, “The James”, “I’m Only Passing Through”, la commovente “Mayfly”).

Continua a macinare chilometri il buon Tim tornando a riprendere in mano, come fa ormai da qualche album a questa parte, un brano dell’EP d’esordio “Laurel St. Demo” (stavolta tocca a “No News From North”). E rende giustizia, con stile, a un piccolo brano un po’ dimenticato della storia del folk: “Clay Pigeons” di Blaze Foley, dopo essersi misurato in passato e più volte con Woodie Guthrie di cui ha proposto cover di “My Land Is Your Land” e “Hobo Lullaby”.

Tutti i miei amici stanno diventando delle star mentre io resto sempre lo stesso dice spesso Tim, ridendo. Se stesso, cioè un guerriero con la chitarra acustica. Che dopo “28th & Stonewall” e “40 Miler” scrive un altro capitolo del suo viscerale, intimo, onesto, folk venato di country ma sempre militante (nel senso personale e politico del termine). Giù il cappello, per Mr. Tim Barry.