Ci sono due immagini di Stuart Murdoch che mi sono rimaste impresse da interviste recenti. La prima, la mia preferita, lo ritrae nel cortiletto di casa, su un’altalena, anni 5, mentre canta i successi musicali metabolizzati dall’ultima puntata di Top of the Tops. La seconda: periodo universitario, Stuart soffre di un caso severo di sindrome di affaticamento ““ from this hiding place life way too much, “Nobody’s Empire” ““ ma è sabato sera e non rinuncia ad uscire and hit the clubs. Filo rosso: sul valore salvifico di una canzone pop, su quello eversivo di una canzone dance. Per dirla alla Morrissey, don’t forget the songs that made you smile and the songs that made you cry.
Al nono album, i Belle and Sebastian di “Girls in Peacetime Want to Dance” cambiano pelle ma non anima. Le ragazze in biblioteca verso l’ora di chiusura sono ancora un po’ malinconiche; e pezzi rassicuranti e Smiths-minded come “Ever Had A Little Faith?” non avrebbero stonato nel primo “Tigermilk” (1996). Però questa volta ci sono anche: gli ABBA e Giorgio Moroder, il synth-pop e la pacchianeria Eurovision, persino la samba (“The Perfect Couple”) e la musica balcanica (“The Everlasting Muse”).
Rinnovarsi può significare scrivere una canzone su una poetessa confessionale (“Enter Sylvia Plath”) ballabile nè più nè meno di “Dancing Queen” o “Gimme! Gimme! Gimme! (A Man After Midnight)”. Chiamatela neo-dance, l’anno scorso ci sono passati anche i Broken Bells e i Black Keys (“Fever”). Chiamatela “nostalgia delle sfera specchiata”, l’importante è che si lascino fuori i pantaloni a zampa di elefante. La traccia-manifesto dell’album è “The Party Line”, storia irresistibilmente dance di un aggancio a una festa: alla fine dei conti, there is nobody here but your body, here. Qui c’è solo il tuo corpo e le ragazze, in tempo di pace, vogliono ballare.
Si è detto, i Belle and Sebastian hanno scritto un album politico? “The Cat With the Cream” [idioma per indicare qualcuno con l’aria auto-compiaciuta] fa riferimento al partito Tory ““ che non gode di grandissima simpatia nella Scozia indipendista e socialista ““ e in “Allie” si menzionano le bombe in Medio-Oriente. Forse qualcosa è cambiato da “Write About Love” (2009), dalla volontà che “il mondo si fermi”, da “I’m Not Living the Real World”, dai tempi di “Get Me Away From Here, I’m Dying” (ridendo e scherzando, certo, eppure). Non è politica, è quotidianità , è il mondo là fuori, la tv distrattamente accesa su BBC news. In “Nobody’s Empire” si allude a una forma alternativa di resistenza politica che fa capire di che cosa stiamo parlando: “ora sei la madre di due bambini, sei un rivoluzione silenziosa”.
In “Girls in Peacetime Want To Dance” l’introspettivo incontra il mondano in una convivenza più che riuscita. I Belle and Sebastian scendono dalle nuvole, ma nessuno dice che i piedi per terra non si possano usare per saltellare. E ballare, in tempi di pace.
Photo: Andy Witchger / CC BY