C’è una donna che cammina, da sola, per le vie di Manchester. Cercando quei luoghi bui che si nascondono dietro le insegne accecanti dei negozi alla moda, dei centri commerciali. Via, lontano dalla pazza folla e dal centro città con le sue luci vuote. Percorrendo vecchie strade a caccia dei fantasmi dell’era post industriale. Quella donna si chiama Julie Ann Campbell, in arte e in musica Lonelady. Un progetto iniziato da solista con “Nerve Up” nel 2009 che ora si è evoluto fino a diventare una band vera e propria (oltre a Julie Ann dal vivo ci sono Gareth Smith, Andrew Cheetham e Tom Long).
“Nerve Up” era un’indagine tutta interiore, un album nevrotico, scostante, affascinante, introspettivo fino a perdersi nelle proprie paure, nei propri sogni. Ed era questa la sua forza. “Hinterland” invece guarda soprattutto fuori. Ripercorre, canzone dopo canzone, la storia di una città . I paesaggi familiari, quelli sconosciuti che familiari potrebbero diventarlo presto. Casermoni, prefabbricati, bunker costruiti come rifugio per guerre passate che rischiano di tornare utili per quelle future (non si sa mai). Luoghi che Julie Ann conosce bene, lei che a Manchester ci è nata e cresciuta. E di Manchester ama soprattutto la dimensione nascosta, privata, dimessa. Periferica. I piccoli posti dimenticati che capita di avere davanti agli occhi così tante volte da non vederli più. E invece ci sono e sono interessanti.
Lonelady è una perfezionista. Artista a tutto tondo, più che musicista. Le canzoni lei le costruisce poco a poco, con l’istinto e la precisione maniacale di un architetto. Come se sapesse che basta un dettaglio, un piccolo dettaglio fuori posto per far crollare l’intero castello. “Hinterland” è un album fatto di emozioni e influenze sonore contrastanti, di pieni e di vuoti, di silenzi e rumore assordante, di angoli perfetti e geometrie azzardate. Capace di fondere mille passioni: i ritmi sincopati di (“I Can See) Landscapes”, il post punk di “Into The Cave”, il pop decostruito di “Bunkerpop”, la dance educata di “Groove It Out”, l’elettro pop “Red Scrap” e “Silvering” (col suo intro à la Chic), le storie di apocalittica ossessione che invadono “Mortar Remembers You”. E poi quei ritmi funky (“funk through a cement coloured lense and it’s still in a post punk frame work” come li chiama Lonelady) che da un disco così proprio non ti aspetteresti e invece ci sono eccome.
Julie Ann del resto ha ammesso candidamente di ascoltare e aver ascoltato un po’ di tutto: dai Wire ai P.I.L. (con Keith Levene e Jah Wobble ha finito pure per collaborare) ai New Order (non le spiacerebbe rapire Steven Morris e chiuderlo in una stanza sperando che succeda qualcosa, musicalmente parlando) a Tina Turner, a Michael Jackson, ai Parliament, ai Funkadelic. E poi Nico (“Flee!” è stata pensata come un omaggio a lei) e Scott Walker. Non è solo musica, quella di Lonelady. E’ qualcosa di più ambizioso. Julie Ann Campbell è un artista che prova a creare il proprio paesaggio, mentale e fisico. Cercando, parole sue, di ridisegnare l’idea di ciò che è bello. Costruendo forme in cui identificarsi, per poi cambiarle ancora e ancora. “Hinterland” insomma è un omaggio alla Manchester di ieri fatto in modo incredibilmente moderno. Ma attenzione: questa non è la Manchester degli Happy Mondays o degli Oasis. Questa è l’affascinante città segreta di Lonelady ed è tutta da scoprire.