Kate (Emily Blunt) è una giovane agente dell’FBI, tra le più promettenti per le sue doti di leadership e per la sua intelligenza, che la porta a scalare rapidamente le gerarchie all’interno della sua task force.
Dopo l’ennesimo orrore scoperto al confine tra Stati Uniti e Messico, Kate viene arruolata da un funzionario governativo (Josh Brolin) e da un ambiguo consulente (Benicio Del Toro) per una missione top secret aldilà della frontiera.
Qui la protagonista dovrà affrontare la dura realtà di una zona dove non c’è giurisdizione se non quella delle armi, dei complotti e in cui si fatica a distinguere gli amici dai nemici.
Dopo essere stato presentato con un buon riscontro al Festival di Cannes, arriva anche da noi l’ultimo film di Denis Villeneuve, regista arrivato alla ribalta hollywoodiana con il successo de “La Donna che Canta” e, più recentemente, “Prisoners”.
“Sicario” è un film sul confine, poco importa se fisico o mentale, ciò che conta è mostrare ed esplorare quelle forze, quelle energie, che si contrappongo nervosamente sui due lati dello stesso limite mentre cercano incessantemente (ma senza successo) di amalgamarsi in un continuo rimescolamento delle posizioni che, non trovando una risoluzione, spesso porta a un conflitto.
Il confine fisico in “Sicario” è senza dubbio la frontiera USA-Messico, una striscia in cui si consumano tensioni quotidiane e dove le forze di cui si parlava prima agiscono costantemente.
Si prenda ad esempio la traversata di Juarez in cui veniamo immersi in un canto dantesco, tra eterno dolore, gente perduta e una città dolente a cui manca solamente un cartello che reciti “Lasciate ogne speranza, voi ch’intrate”.
Il confine però è anche una dimensione mentale, una linea che all’interno della coscienza stabilisce fino a dove ci si può spingere per fare (o non fare) certe azioni.
Emblema di tutto ciò è Kate, in costante lotta contro se stessa sulle decisioni da prendere per evitare di superare quel limite che la renderebbe una persona diversa (probabilmente peggiore, dal suo punto di vista) per il resto dei suoi giorni.
Al contrario, chi invece ha già varcato questa demarcazione sono Matt e Alejandro, da tempo venuti a patti col diavolo per raggiungere i loro obiettivi.
Il regista inserisce tale massiccio discorso all’interno della propria visione utilizzando alcuni topoi ricorrenti del suo cinema, partendo dall’impossibilità di estirpare il male del tutto e della conseguente deumanizzazione di chi comunque persevera in questa direzione, finendo con la dicotomia tra bene e male, mai marcata chiaramente.
Villeneuve fornisce anche uno stile al suo film, totalmente dedito all’estetica, alla costruzione di tensione e poco devoto al ritmo forsennato, una firma che ricorda molto quella del re del thriller/action che risponde al nome di Michael Mann, a cui è difficile non pensare nella magistrale sequenza alla frontiera.
Probabilmente, però, se siamo incantati dalla macchina da presa del regista canadese parte del merito è anche di uno dei più grandi artisti del cinema contemporaneo, quel Roger Deakins creatore di luci e cromature impossibili, che dimostra ai sostenitori della pellicola che anche con il digitale si possono fare meraviglie e proprio in questo senso si erge a emblema una sequenza al tramonto, una poesia scritta e girata all’imbrunire nel deserto messicano.
Supporta alla grande l’atmosfera generale la colonna sonora di Jòhann Jòhannsson (Golden Globe e nomination all’Oscar con La Teoria del Tutto l’anno scorso); una composizione potente, fragorosa, con dei bassi stupendi e capace di generare inquietudine ben più di una volta.
Ad arricchire ancor di più Sicario c’è un cast in gran forma, partendo dalla protagonista Emily Blunt, che dimostra ancora una volta di essere un’attrice versatile offrendo al pubblico un continuo senso d’inadeguatezza, passando per Benicio Del Toro tornato alla ribalta in un ruolo che gli sembra scritto addosso, finendo con il migliore dei tre, Josh Brolin, che regala ambiguità , sfrontatezza e la classica faccia da schiaffi al suo Matt.
“Sicario” quindi conferma (e amplifica) tutte le abilità di Denis Villeneuve, un regista con una visione ben precisa, capace di costruire film importanti per valori tecnico/artistici, ma comunque accessibili a un grande pubblico per narrazione, capacità di coinvolgimento e interpretazioni.