Lou Barlow dimentica il rasoio da barba, spolvera il microfono e torna con “Brace the wave”, una specie di fratello maggiorenne di “Emoh”, il primo album da solista.
Più opaco e intimo di “Goodnight Unknown”, “Brace the wave” è uno zoom interiore composto da nove tracce in crescendo col superpotere di non scadere nel banale pezzo carino e uguale a mille altri del rischioso mondo del lo-fi. Eterogeneo ma continuativo, coerente e scorrevole, ascoltarlo fino alla fine sarà facile come abbottonare la tua camicia preferita.
“Redeemed” presenta e sintetizza il tutto per lasciare poi spazio a una breve parentesi di tracce appena più incisive; nella seconda metà del disco il primo piano si fa preponderante e Barlow si impegna come ci si aspettava: con Lazy e C+E la linea vocale diventa vellutata e la chitarra meno egocentrica, permettendo così di riprendere e chiudere l’impressione iniziale in bellezza.
è la trasparenza che salva Barlow: niente da ostentare, niente da buttare in rete a caso per restare alla moda, solo un nodo lento e spesso di voce e chitarra che, invece di stringere, slega. Slega le abitudini e le aspettative del genere – appiattite dalla marea di gruppi orecchiabili ma senza il fondamentale quid in più – e ci appende diapositive, aneddoti, originalità . Repeat non è solo il titolo dell’ultima traccia ma anche un imperativo categorico.