Ci sono dischi per cui è inutile stare lì a contare gli anni, li puoi sezionare per vedere quanti cerchi hanno al loro interno o puoi stimare la loro età con il carbonio quattordici ma la risposta è sempre la stessa: essi risultano comunque”Forever Young” come direbbe Bob Dylan e l’album di Cat Power di cui parliamo oggi appartiene a questa tipologia di lavori, “The Greatest” è un disco talmente classico da risultare attuale anche dopo dieci anni.
Chan Marshal nel duemilacinque ha circa trentatrè anni quando decide di prendere armi e bagagli e trasferirsi a Memphis per registrare una manciata di canzoni dallo stile diametralmente opposto a quanto pubblicato fino a quel momento; l’indie rock inizia a starle stretto nonostante il buon successo del precedente “You are free” e l’irrequieta Gatta decide di dare una decisa sterzata alla sua carriera.
Io a quel tempo di anni ne avevo ventinove e di Cat Power conoscevo poco, giusto qualche pezzo come “Cross bones style” o “You are free” tratto dall’omonimo disco, ci pensò la lettura di una bella intervista sul Mucchio Selvaggio del gennaio duemilasei a spingermi ad approfondire la conoscenza di questa fascinosa e misteriosa artista.
Febbraio si approssimava alle porte, io mi recai dal mio rivenditore di fiducia di allora alla ricerca di “The Greatest” e del suo pacchiano artwork simil- hip hop, primo disco con sopra scritto il nome della Gatta della mia vita, lavoro che acquistai insieme al primo album di Mark Lanegan & Isobel Campbell, decisamente un bel bottino con il senno di poi.
“The Greatest” si apre con la sua titletrack, una languida versione apocrifa di “Moon River” che segna indelebilmente il mood di tutto l’album-un lavoro sempre a cavallo tra soul e blues del delta-seguita a stretto giro da un trittico mozzafiato formato da “Living proof” (splendido il video girato da Harmony Korine), dalla strepitosa e alticcia “Lived in bars” e da una “Could we” impossibile da smettere di canticchiare già dopo il primo ascolto, tre brani che si distaccano nettamente dal resto del canzoniere classico dell’artista di Atlanta, canzoni che ne sottolineano la classe interpretativa oltre che la sopraggiunta maturità vocale.
Il resto della scaletta ci mostra una cantante pienamente cosciente delle proprie capacità , a suo agio con sonorità differenti rispetto al solito che mettono in risalto l’eleganza della sua voce e le sue capacità compositive.
Ascoltai questo lavoro per mesi, venni sedotto dalla sua musica(e forse dalla sua bellezza) come poche altre volte mi era accaduto, mi chiedevo però come queste canzoni sarebbero risultate dal vivo; non potevo saperlo ma presto la mia curiosità sarebbe stata soddisfatta, infatti da lì a poco il festival Frequenze Disturbate di Urbino avrebbe annunciato il nome della Gatta tra quelli compresi nel suo nutrito cartellone(c’erano tra gli altri gli Arab Strap, i Tunng, gli onnipresenti Afterhours, i Calla, i The Veils e il tizio rosso dei Kings of Convenience).
L’estate arrivò presto, all’interno della Fortezza Albornoz ebbi la possibilità di incrociare Chan Marshall che si aggirava da sola nel pomeriggio che precedeva la sua esibizione. Inutile dire che era circondata dagli ammiratori, uno dei quali cercava di dichiarare il suo eterno amore regalandole un mazzo di rose rosse, lei appariva svagata, leggera come il vento di primavera(tutto questo per non dire che era sbronza), dribblava i fans con estrema eleganza dedicando ogni volta che poteva le sue attenzioni al grosso bicchiere dotato di coperchio che portava con sè, ne traeva grandi sorsi appena riusciva a liberarsi dalle insistenti attenzioni del suo corteggiatore, il quale domandandole cosa contenesse il bicchiere si sentì candidamente rispondere “Tè”.
Venne finalmente la sera e la Gatta salì sul palco armata solamente della sua chitarra e del bicchiere di cui sopra, palesando subito grosse difficoltà non solo a sistemare il microfono ma anche a dire qualcosa che avesse un minimo di senso compiuto. Lei affermò di essere sobria ma nessuno tra il pubblico ci cascò: fu l’inizio di un’esibizione ai limiti del grottesco in cui le rare canzoni presentate venivano intervallate con numerose scenette tragicomiche in cui Cat Power accennava fantasiosi balletti o partiva per la tangente in lunghi monologhi senza senso, tutto questo per più di due ore, tanto che il responsabile di palco dovette andare a pregarla di terminare l’esibizione.
Non vi nascondo che la delusione fu tanta, ero andato fin lì con i miei amici soprattutto per lei e mi chiedevo dove fosse finita la raffinata chanteuse che aveva monopolizzato il mio stereo per mesi, possibile che la grande artista di cui avevo sentito dire cose eccellenti fosse solo un’ubriacona che non si reggeva in piedi sul palco ?
Nonostante questa prima esperienza negativa continuai a seguirla, scoprii dei suoi problemi con l’alcol e che quel concerto era il primo tenuto dopo un fallimentare tentativo di rehab. Tempo due anni ed uscì sempre per i tipi della Matador “Jukebox”, seconda raccolta di cover dopo “The Covers Record” del duemila, un lavoro che conteneva interpretazioni di brani di Frank Sinatra, Billy Holiday, Bob Dylan, Joni Mitchel, Nick Cave e molti altri, continuando il discorso iniziato con “The Greatest” sul solco di sonorità comprendenti jazz, blues e soul.
Per riavermi dalla delusione di Urbino dovetti aspettare un paio di anni durante i quali recuperai tutti i titoli della discografia di Chan Marshall che mancavano alla mia collezione, cosa che mi aiutò ad arrivare preparatissimo al concerto di Ferrara del primo luglio duemilaotto, live che per mia fortuna andò in maniera completamente opposta rispetto alla volta precedente.
Questa volta il palco non scottò sotto le zampe della Gatta che sfoderò un’esibizione sensazionale coadiuvata da una band in stato di grazia che vedeva seduto alle pelli Jim White dei Dirty Threes. Un concerto indimenticabile, senza sbavature, addirittura troppo scolastico per alcuni come lessi pochi giorni più tardi ma assolutamente memorabile.
Le ultime notizie su Cat Power non sono delle migliori, nel duemiladodici un grave problema di salute ha fortemente condizionato la sua carriera, a questo sono seguiti degli stati depressivi che mettono in forte dubbio la prosecuzione della sua attività artistica, l’augurio però è che torni al più presto con un capolavoro senza tempo come “The Greatest”, album grazie al quale la possiamo considerare insieme a Pj Harvey “La più grande” esponente del rock al femminile degli anni duemila.
Cat Power ““ “The Greatest”
Data di pubblicazione: 20 Gennaio 2006
Registrato: Maggio 2005
Studi di regitrazione: Ardent Studios, Memphis, Tennessee
Tracce: 12
Lunghezza: 44:34
Etichetta: Matador
Produttori: Stuart Sikes
Tracklist:
1. The Greatest 3:22
2. Living Proof 3:11
3. Lived in Bars 3:44
4. Could We 2:21
5. Empty Shell 3:04
6. Willie 5:57
7. Where Is My Love 2:53
8. The Moon 3:45
9. Islands 1:44
10. After It All 3:31
11. Hate 3:38
12. Love & Communication 4:34
Ascolta per intero “The Greatest”: