Penso che nella vita di ognuno c’è un momento in cui la quiete diventa assordante e assorbente come il più impenetrabile dei muri sonori.
A me accadde nel lontano 2003, avevo undici anni appena compiuti ed in famiglia girava la voce che ascoltassi “rock veramente duro”.
Io ci tenevo ad alimentare questa immagine fica, visto che nella prosaica realtà dei fatti ero solo un bambino in carne ed impacciato.
Quindi, essendo ancora completamente distante dal multiforme universo del web, mi basai solo sulle mie acerbe e parzialissime conoscenze musicali, che si fondavano principalmente su Mtv e All Music, per implementare e dare profondità a questa immagine distorta e ribelle di me.
In quel periodo passava in heavy-rotation “You Know You’re Right” dei Nirvana ed io decisi che Kurt Cobain potesse essere un discreto inizio per questa avventura all’interno di questo indefinito rock duro.
Praticamente andai all’Iper Coop e comprai un album a caso (con i soldi della nonna per il superamento dell’esame di quinta elementare) e tornai a casa tutto eccitato all’idea di un’ora di chitarre rumorose ed urli straziati.
Poi, schiacciai play nel radiolone e sentii certamente gli urli straziati ma, incredibile, dove doveva esserci una distorsione c’era una chitarra acustica.
Ovviamente l’album di questa “breve” storiella è il bellissimo “Unplugged in New York”, che mi accompagna con amore da tredici anni, da quell’estate.
Ora, il senso della digressione storica era quello di rendere concreto il senso di capovolgimento che può creare la musica e l’incredibile qualità dei grandi album nel creare bisogni impellenti che non esistevano fino all’istante prima.
Perchè fondamentalmente quindici anni fa, all’uscita di “Quiet is the New Loud” dei Kings of Convenience si era appena usciti da un decennio che presentava molte coincidenze e similarità con i gusti del mini-me.
La crudezza e la sporcizia del grunge, la fanfara colorata e generazionale della parte pazza di Manchester ed i muri sonori dei ragazzi che si fissano le scarpe. Solo per citarne alcune.
Nessuno sentiva il bisogno di un paio di chitarre acustiche e di un paio di nerd che vocalizzavano.
Poi però succede lo stesso, ed in grande e con il tempo si capovolgono equilibri.
“Quiet is the New Loud” è un passo decisivo verso la riscoperta di un approccio acustico alla musica, un album che apre ad una stagione di tranquillità , sentimenti e barbe lunghe.
E’ manifesto programmatico, anche nel suo nome: in un mondo in cui è la musica è piena e lisergica quanto può far clamore il silenzio e la melodia denudata delle proprie sovrastrutture?
Tanto.
“Quiet is the New Loud”.
Ora, parlare di questo album brano per brano sarebbe ridondante ed inutile, anche perchè tutti sono bravi a dire le parole giuste con il senno di poi.
Ci sono sicuramente canzoni notevoli per la carica emotiva, tipo “I Don’t Know What I Can Save You From”, che parla di spiazzamento ed impotenza in una cornice melodica semplice ed abbastanza lineare che si chiude in una partitura d’archi sul finale.
L’impressione ascoltandola è quella di rivivere una grande ed immotivata nostalgia verso qualcosa di lontano ed indefinito, come quando si torna a casa nella propria cameretta.
Non so se lo dico con il senno di poi, poichè so bene che è stata scritta da dei giovanissimi Erik e Erlend, ricongiunti a Bergen per le vacanze di Natale. So per certo che quando ho sentito questa storia per la prima volta non l’ho trovata per nulla strana.
Pietra angolare e anima stessa dell’album è “The Weight of My Words”, con i suo arpeggi delicati ed eleganti che vanno ad integrarsi perfettamente nella storia raccontata, che è un mantra di inadeguatezza e di rassegnazione.
Malinconica e lieve come una colpa appena ammessa.
L’aspetto più innovativo però è il modo di riempire i vuoti unicamente con le loro chitarre e qualche arco, di rado. Si avverte fortemente in “Summer on the West Hill” in cui le voci e le corde delle chitarre si fondono in un fumoso ed etereo viaggio tra le nebbie delle Mare del Nord.
Oppure nei loop di accordi e nei tasti sfiorati appena della conclusiva Parallel Lines.
“Quiet is the New Loud” è un album fondamentale, a mio parere, ma è ben lontano dall’essere un lavoro perfetto.
La musica dei Kings of Convenience infatti è così pulita e minuziosa da risultare asettica in più battute.
Questo succede soprattutto nei brani più ritmati come “Toxic Girl”, “The Girl From Back Then” e “Learning Against the Wall”: veri e propri esercizi di stile che lasciano indifferenti e che, sempre per quella che è la mia onestissima opinione, sono invecchiati malissimo.
Come ho detto, non voglio fare il listone visto che non sono qui per giudicare ma per celebrare.
Un album che è bello più per quello che ha significato che per quello che contiene al proprio interno ma che rimane comunque, a suo modo iconico.
Prima guardavo gli “artisti simili” ai Kings of Convenience su Spotify.
C’era chi mi immaginavo: i vari Bon Iver, Iron & Wine, Josè Gonzalez, Sufjan Stevens (che comunque etichettarlo come acustico sarebbe parecchio riduttivo).
Tutta gente che ha percorso la strada battuta da “Quiet is the New Loud”.
Sono sicuro che se non fossero stati Erik ed Erlend sarebbe stato qualcun altro, sicuramente.
Ma è altrettanto vero che non è stato qualcun altro.
Rispolverando questi brani, su album e dal vivo (ho avuto il piacere di sentire questo album suonato per intero da loro due qualche mese fa, al Teatro dell’Antoniano) mi è tornato in mente il mio professore di Educazione Fisica alle scuole medie che, ogni anno ci raccontava la storia Dick Fosbury, primo atleta della storia a tentare un balzo all’indietro in una gara di salto in alto.
Perchè?
Perchè, oggi c’è tanta gente che salta all’indietro e più in alto di Fosbury ma quello movimento rimarrà per sempre il fosbury flop.
Così, ci sono album di musica “acustica” ed umorale che hanno toccato punti più alti, corde più profonde, che hanno lacerato più tessuti. Non c’è la straziante e ruvida dolcezza di “For Emma, Forever Ago” o o lo sconcerto di fronte ad un addio definitivo come quella bellissima elegia che è “Carrie & Lowell” ma c’è il brivido, la vitalità del primo salto, di schiena, senza sapere bene dove cadere.
C’è quel bellissimo pezzo cadenzato che sta a metà album che l’ho sempre trovato tanto interessante dal punto di vista musicale quanto retorico dal punto di vista testuale.
Failure is always the best way to learn.
Mi piace pensare che sia stato il loro ultimo pensiero prima di balzare nel vuoto, come a dire Oh beh, noi comunque ci abbiamo provato.
Sì, ci avete provato e non avete fallito. Quindi, buon compleanno.
Kings Of Convenience ““ Quiet Is The New Loud
Data di pubblicazione: 6 marzo 1996
Tracce: 12
Lunghezza: 44:59
Etichetta: Astralwerks
Produttori: Kings of Convenience, Ken Nelson
Tracklist:
1. Winning a Battle, Losing the War 3:54
2. Toxic Girl 3:09
3. Singing Softly to Me 3:09
4. I Don’t Know What I Can Save You From 4:37
5. Failure 3:33
6. The Weight of My Words 4:07
7. The Girl from Back Then 2:29
8. Leaning Against the Wall 3:18
9. Little Kids 3:46
10. Summer on the Westhill 4:33
11. The Passenger 3:13
12. Parallel Lines 5:11
Ascolta per intero “Quiet Is The New Loud”: