è il 5 marzo e mentre ascolto gli islandesi Mùm sonorizzare dal vivo il film muto “Gente di Domenica” (“Mennschen Am Sonntag”) allo Spazio Tondelli di Riccione, mi viene in mente Calvino quando scrive che le città , come i sogni, sono costruite di paure e desideri. Per questo dedicare un film a una città  ““ qui Berlino, correva l’anno 1929 ““ è un tributo tanto più autentico se si pongono al centro i volti di chi la abita, come accade nella pellicola scritta da Billy Wilder (in seguito regista di “Viale del tramonto”, “A qualcuno piace caldo”) e diretta da Robert Siodmak e Edgar G. Ulmer.

Con l’electronic silent film project di “Gente di Domenica”, i fondatori della band di Reykjavà­k, Gunnar Tynes e à–rvar Smà rason, si pongono in dialogo con la storia da diverse angolazioni. Da una parte è un ritorno alle proprie origini, al 1997, quando curarono la colonna sonora di uno spettacolo teatrale grazie al quale conobbero Gyà°a e Kristà­n Anna Valtysdòttir, con cui fondarono i Mùm ““ da allora il gruppo ha definito cosa intendiamo oggi per un certo tipo di elettronica sperimentale islandese, insieme ai Sigur Ròs e Bjork. Dall’altra, è una rivivificazione in chiave contemporanea di un’epoca mai vissuta (sì, non semplicemente rivisitazione ma rivivificazione chè è propriamente “dare vita”): quella dei cinematografi anni ’30 nei quali i film muti venivano accompagnati dal suono dal pianoforte in sala. Tynes e Smà rason si posizionano sul palcoscenico ai lati dello schermo ed è assolutamente naturale illudersi che il film proiettato alle loro spalle non sia mai esistito senza la loro musica.

“Gente di domenica” è un semi-documentario girato con attori non professionisti; scorre sullo schermo senza un vera e propria struttura, privo di rigidità , come le melodie di Tynes e Smà rason: due uomini e due donne attraversano un flusso di vita domenicale in cui si alternano momenti frenetici di nuova modernità  cittadina ““ i tram, i bar affollati ““ e la calma gioiosa del giorno di riposo al lago, nelle zone boschive intorno a Berlino. Uno studio sociale in cui la macchina da presa si stringe in primi piani assoluti, mettendo lo spettatore faccia a faccia con i protagonisti, immortalati in un punto di calma della Storia e allo stesso tempo vivi di un vitalismo fuori dal tempo. La musicalizzazione dei Mùm è umilmente al servizio delle immagini, mai invasiva, sempre cauta e proprio per questo ancora più potente quando si carica di intensità , come avviene sul finale. L’intero spettacolo costruisce una climax familiare agli ascoltatori della band: penso a brani come “We Have A Map Of The Piano” e al modo in cui nuovi strati di complessità  compositiva si accumulano minuto dopo minuto.

Stasera lo Spazio Tondelli ha le luci blu che mi piace immaginare nei club più esclusivi di Berlino. Stasera questo è un cinema, un club, un teatro o una sala concerti, poco importano le definizioni perchè del resto questo è uno “spettacolo da ascoltare con gli occhi”, come dice il direttore di Riccione Teatro, Simone Bruscia: un modo come un altro per affermare che qui, stasera, le linee di confine interessano solo nella misura in cui si può cercare di evaderle.