C’erano una volta i WU LYF, World Unite Lucifer Youth, quartetto made in Manchester. Fecero ammattire i giornalisti sulla scena electro e non solo, annus domini 2011. Misteriosi, sfrontati, guidati dal frontman Ellery Roberts, ruppero gli schemi con un pomposo album electro-grunge stravolto da un’immaginifica retorica. C’erano, non ci sono più.

Riavvolgiamo il nastro e veniamo ai giorni nostri. Ecco di nuovo il talentuoso Roberts, stavolta con al fianco la compagna di vita ““ artista audio/visual di Amsterdam – Ebony Hoorn. Aggiungiamoci un produttore del calibro di Bobby Krlic – aka The Haxan Cloak – già  al lavoro niente meno che con Björk, ma con due importanti dischi all’attivo, tra noise e pompose sperimentazioni. Ecco dunque LUH, acronimo di Lost Under Heaven, con “Spiritual Songs for Lovers to Sing”, un disco che irrompe sulla scena con credenziali già  importanti, perchè sarà  uno dei lavori che più brilleranno, ne siamo certi, in questo 2016.

LUH portano alle orecchie dell’ascoltatore 59 orgasmici minuti di scariche elettriche, onirici arrangiamenti di archi e synth, folate di un gelido vento che sembra urlare in faccia quando si è sull’orlo di una scogliera. Il viaggio inizia con l’introspettiva “I&I”, in un crescendo di liriche urlate al cielo, che conducono alle selvagge “United” e “Beneath The Concrete”, giusto un attimo prima di rallentare e immergersi nel calore di “Future Blues”. Ebony diventa protagonista, mentre sussurra it’s just another day, lost under heaven, in una ballata in chiave shoegaze che perde i contorni sfumando in un momento di rara bellezza.

Roberts riprende il comando poco dopo con la trionfale “Someday Come”. “$ORO” è, invece, un pugno in pieno stomaco. Il pezzo è nervoso, tirato, spazia tra ritmiche vagamente dubstep e campionamenti che ricordano qualche indovinato remix di Wild Beasts. Fino a un’esplosione techno/gabber, inaspettata, che Roberts spiega così: Questo disco è una sorta di percorso temporale. $ORO è quel momento di rottura, alle 6 del mattino, dove tutto è lecito, dove le ultime energie sono canalizzate e pronte a disperdersi, confuse, in un ordine imprecisato. La tensione si dissolve presto, perchè già  con “Here Our Moment Ends” si ritorna al copione originale, per una seconda parte forse ancor più raffinata e graffiante della prima.

LUH portano un suono un po’ ruffiano, è vero, ma che difficilmente può essere avvicinato a qualcosa di già  sentito. Ci sono ancora perle del calibro di “First Eye to The New Sky” o “Lament”, prima del gran finale. “The Great Longing” è una ballata un po’ malinconica e disincantata nel contempo, dove “Spiritual Songs for Lovers to Sing” sembra crollare senza più forze, dopo un percorso impervio.

Ellery Roberts ha sempre sostenuto di non aver mai realmente scritto canzoni, con i suoi WU LYF, bensì di aver plasmato i suoi pezzi partendo da arruffate jam sessions. Le parole arrivavano solo in seguito, veloci, scritte alla rinfusa, per sua stessa ammissione. Crediamo qualcosa sia cambiato, perchè la celestiale bellezza di questo disco dimostra come l’irrequieto frontman e la sua metà  abbiano in realtà  imparato molto su come fare musica di qualità . Questo progetto – persi sotto il paradiso – non ha le sembianze di una band. Somiglia, piuttosto, a un’unione di sostanze, una commistione di generi, laddove Ebony Hoorn completa lo spigoloso Ellery Roberts con un mosaico di influenze che rendono sperimentale e solido nel contempo uno dei prodotti musicali più pungenti della prima metà  di questo 2016.

Chiamateli sognatori (“love unites humanity”, si firmano) o semplicemente compositori di canzoni spirituali per innamorati. Per noi LUH sono una folata di emozioni. Provate a resisterle, se ci riuscite.