Mike (voce, chitarre) e Joel (synth e programmazione) sono due cugini cresciuti nella Londra che scorre alla velocitò della luce, incuranti dello spazio circostante fatto di glamour e cocktail tanto costosi quanto annacquati. Dicono di aver scelto il nome di questo progetto dopo un “casuale incontro” con un libro in russo, a Finsbury Park, come sottolinea Rough Trade, sotto la cui egida escono con questo primo EP, Falling Out. Giurano anche di essere accomunati dalla passione per Ricardo Villalobos e David Beckham. Uno strano accostamento, non c’è che dire.
Ecco dunque “Falling Out”, la loro prima fatica. Lo scenario è fatto di esplorazioni synth-pop in chiave più marcatamente electro. Il loro suono è zeppo di minimali giri di chitarre e rimandi ad atmosfere che portano dritti a gente tipo Glass Animals o i californiani Local Natives. Si autodefiniscono electronic rock, con influenze dance: ambiziosi, non c’è che dire.
I pezzi di questi due ragazzi parlano di ciò di cui parlerebbe un ventenne qualunque: cadere, rialzarsi, fregarsene del domani, guardare al futuro senza un’idea di come fare a costruirsi un ideale. In mezzo a tutto ciò, questi Otzeki hanno personalità . “Falling Out” è l’opening che sembra crescere beat dopo beat, con la voce calda di Mike a giocare a nascondino, per poi esplondere in soffocate e malinconiche vette che si inseriscono al meglio in un caleidoscopio di melodia, ritmo e campionamenti ben congegnati. La direzione presa da questi due ragazzi è già ben definita. Sono sfrontati quel tanto che basta, anche quando la title track svolta in chiave soul con un falsetto che riesce a conferirle un valore aggiunto inaspettato. Ancor meno quadrata è “Hope in Hell”, dove Otzeki danno il meglio. Solo Dio sa, cosa ci facciamo qui, ci confidano, in un crescendo di percussioni ed echi, che ““ ancora una volta ““ si intrecciano in maniera sorprendente.
“Cancel All” è il primo singolo fatto uscire dal duo, una bella prova di coraggio, nel costruire un pezzo che a primo acchito sembra non avere una forma definita. Soltanto il ritornello, cucito sopra uno strato di ossessivo arpeggio di chitarra, porta alla luce l’essenza di un viaggio musicale che ci catapulta al centro di una giornata dove il sole e la pioggia si rubano la scena di continuo. Si arriva così a “Prosthetic Limb”, ultimo atto di un più che positivo primo approccio alla scena. E’ il pezzo più sperimentale e di più difficile assimilazione, per l’aria vagamente orientale le acide variazioni armoniche che lo connotano.
L’esame? Superato, con disinvoltura. Otzeki hanno già caratteristiche importanti e questo primo EP farà venire l’acquolina in bocca ai cultori del genere, in attesa di un primo long playing che scopra del tutto le carte di questi due cugini destinati, crediamo, a un futuro importante.