Vorrei vivere anche solo un giorno nella fervida mente di Hugo Race, per vedere come funziona la testa di un uomo che nel giro di un anno riesce a tirare fuori ben due album, un EP , un libro(“Road Series”) e, come se non bastasse, affronta un lungo tour mondiale, tutto questo senza mai dare alla luce qualcosa che non sia quantomeno sorprendente per intensità  e lirismo.

Come il classico topolino della favola il musicista australiano si muove dalle atmosfere urbane e notturne del precedente “The Spirit” verso le strade polverose del folk di questo “24 Hours to Nowhere”, quarto lavoro pubblicato insieme ai Fatalists (Antonio Gramentieri, Francesco Giampaoli e Diego Sapignoli dei Sacri Cuori), che vede la partecipazione di numerosi altri ospiti come Michelangelo Russo, già  sodale di Race nei True Spirit, e della cantautrice australiana Julitha Ryan.
Disco dai toni foschi e avvolgenti questo nuovo album dell’ex Wreckery, che prende spunto dalle suggestioni raccolte da Race durante gli ascolti di cantautori come Fred Neil e Tim Hardin (di cui è qui presente la cover di “It’ll never happen again”), un lavoro che si inserisce perfettamente nel sacro solco della tradizione americana già  a partire dalla titletrack, brano in cui Hugo Race viene affiancato al microfono da Angie Heart dei Frente in un duetto che poco ha da invidiare a quello ben più famoso tra Lee Hazelood e Nancy Sinatra in “Some velvet morning” di quasi cinquant’anni fa.

Ai suggestivi paesaggi sonori dipinti da Gramentieri e compagni si somma una scrittura capace di indagare gli abissi più profondi dell’animo umano, attitudine tipica di chi riesce abilmente a districarsi tra i canoni del blues, del folk e del cantautorato attuale, il tutto attraverso una voce calda e ruvida, rassicurante e minacciosa il giusto quando la notte si fa più buia e le risposte ai quesiti che poniamo a noi stessi sono meno rassicuranti.

Spesso di Hugo Race (come anche di Steve Wynn) si dice che da anni canti sempre la stessa canzone, questo può sembrare vero ad un ascolto distratto e superficiale, la verità  è che la sua musica è capace di cercare quel blues che è dentro di noi da sempre e di riportarlo a galla quando abbiamo bisogno di affrontare i nostri fantasmi.