Sono album come questi che rendono veramente arduo il compito di un recensore.
Quando la musica, oltre ad essere fine del lavoro dell’artista, diventa anche mezzo per una finalità  ulteriore mi trovo sempre spiazzato.
Perchè da una parte credo che il messaggio politico sia necessariamente collaterale in un’analisi che parli di musica, in cui il focus deve necessariamente essere la melodia.
D’altro canto però c’è quel segno forte, calcato, che ha segnato il progetto di Anthony Heagerty fin dal principio.
Il comunicato stampa che ha aperto questa nuova vita dell’artista newyorkese (quello in cui richiedeva di riferirsi a se usando il femminile) è stato il primo passo verso l’escalation di clamore che si è andata a sviluppare intorno a questo lavoro. Poi, a seguire, messaggi forti e diretti, sia nella musica che nei rapporti con la stampa.
Da qui, il mio ritardo nel recensire “Hopelessness”: quanto è difficile concentrarsi su “Drone Bomb Me” quanto te la mima in playback una Naomi Campbell in lacrime?

Partire dalla differenze tra Anthony and Johnsons ed ANOHNI sarebbe assolutamente inutile: sono due mondi distantissimi che vanno ad intersecarsi solo nel timbro vocale pieno ed inconfondibile di Heagerty.
Tutto il resto è una novità , e dove un tempo si sviluppavano le orchestrazioni ora spadroneggia l’elettronica austera ed incidente di Oneothrix Point Never e Hudson Mohawke.

Ora, fatte tutte le premesse del caso devo confessarvi brutalmente una cosa: non ho particolarmente amato questo album.
Almeno, non lo considero il capolavoro che molti dicono.
E’ fermo, inquietante, pomposo ed asettico. Manca molto di fragilità  umana. Come tutti gli album politici (no, non sono un gran fan del genere) declama più che raccontare.

Prendiamo come esempio il singolo “Drone Bomb Me”.
Qua le parole sono forti, molto forti: c’è una persona che è messa in ginocchio dai bombardamenti dei droni e chiede il colpo di grazia. E’ straziante e vero.
Al contrario la musica è luminosa ed incidente.
Questo contrasto a mio parere non va ad elevare la canzone ma a depotenziare il senso di quello che ascolto: mentre da un lato la musica decolla, dall’altro le parole affondano.
Ancora, “Execution” parte con una intro lieve che quasi sembra di essere in una pubblicità  di un sapone intimo: invece no, sei una canzone che parla di pena di morte.

Altre volte invece si tocca un’epicità  ed un’assenza della misura incredibile: “4 DEGREES”, con i suoi fiati sintetici è un vero proprio inno nazionale. Il focus del brano è il disastro climatico che viene affrontato con fatalismo e con violenza.
I Wanna see this world, I wanna see it boil.
Traspare completamente la potenza e l’ineluttabilità  del cambiamento che sta consumando il nostro pianeta ma si confondono nei massimi sistemi delle parole le nostre comuni miserie nel fallire continuamente in qualsiasi azione volta al cambiamento.
Così io come ascoltatore mi sento colpito ma non coinvolto: come in una fotografia satellitare, “4 DEGREES” delinea perfettamente il tema nella sua dimensione mondiale ma elimina dall’equazione qualsiasi segno di umanità .

Contraltare di questa canzone, sia per ciò che riguarda il punto di vista attraverso il quale viene affrontato il tema climatico sia per quanto concerne le atmosfere costruite dalla musica, è la title-track “Hopelessness”.
Il sottofondo elettronico perde vigore e si fa più rarefatto, lasciando da parte quel tono ingombrante di epicità .
Il dramma globale poi diventa personale e, dopo le accuse lanciate precedentemente, traspare la consapevolezza della propria complicità  al crimine.

How did I become a virus?

Improvvisamente posso sentirmi in linea con l’autore e posso rivedere attraverso lui le nostre piccole bruttezze che, andandosi ad accumulare l’una sull’altra, hanno portato il nostro pianeta al tracollo.

L’empatia provata con “Hopelessness” ritorna (o viene anticipata, seguendo l’ordine delle tracce) solo da “Crisis” in cui il clima marziale delle percussioni trovo un proprio punto di equilibrio con l’intimità  delle parole, andando così a collegare la drammaticità  della guerra con la propria realtà  familiare.
Nel resto dei brani invece l’atmosfera rimane troppo sospinta e gonfiata per lasciare spazio all’introspezione.
Ed è un grosso peccato perchè temi come l’emergenza climatica, la violenza, la disillusione politica e la mancanza di privacy potrebbero andare a scavare dentro di noi e lasciarci feriti.
Qua, per la maggior parte delle canzoni invece sembra di ascoltare solo un manifesto politico di Anthony Heagerty.

Prima di iniziare questa recensione mi sono ascoltato in cuffia “Hope There’s Someone” e mi sono ritrovato piegato su me stesso a pensare ho sbagliato tutto, senza sapere bene di preciso cosa avessi fatto di male ma avendo la convinzione che quel qualcosa fosse in ogni caso imperdonabile.
Questo nuovo Anthony, questa Anohni, difetta di questo senso di umano stravolgimento, abbandonando se stessa ad un, riuscitissimo clamore, che sembra deflagrare ma che, scomparso l’eco della bomba, finisce per non lasciare alcun segno.

Photo Credit: Inez & Vinoodh