Shura è Aleksandra Lilah Denton, venticinquenne di Manchester dai capelli bicolor e una vasta collezione di cappellini da ragazzino delle medie. “Nothing’s Real” è il suo primo lavoro completo, uscito l’8 luglio e anticipato da una carrellata di singoli, a partire da “Just Once” e “Touch”, il cui video ha beccato oltre 26mila visualizzazioni.
Ciò che salta subito agli occhi è che sembra davvero non interessarle nulla degli stereotipi, degli stampini, degli schemi e di tutto ciò che potrebbe rappresentare un limite. «Non riuscivo a riconoscermi nella musica pop, quindi ne ho creata una a modo mio », dichiara in un’intervista alla BBC.
Se non ci si fa ingannare dalla prima impressione, dettata da ritmiche e linee vocali decisamente anni Ottanta, Shura ci permetterà di osservarla più a fondo in ambienti pacati e morbidi (“Touch”, “Kidz ‘N’ Stuff”, “2Shy”, “White Light”) senza il minimo timore di sbottonarsi anche su aspetti autobiografici, riuscendo però a scansare l’effetto “diario segreto”. Trip mentali da gente-come-noi-che-non-sta-più-insieme/ gente-come-noi-ancora-si-vuol-bene, conditi da ipotesi e immagini in loop su occasioni perse e simili a parte, infatti, Shura e i suoi occhioni chiari sfondano il muro del silenzio anche su altri temi – a partire dal titolo dell’album, che allude ad un attacco di panico vissuto in prima persona: «Mi sentivo morire e non era vero ».
Shura non è la nuova icona del synth-pop semplicemente perchè non desidera esserlo – e non nel senso ribelle della frase. Insomma, l’elettronica vecchio stile è il mezzo attraverso il quale dimostra di avere molto altro da esprimere: lo scopo non è quello di diventare un manifesto di qualcosa (no, nemmeno del mondo queer come si potrebbe sbrigativamente pensare), ma piuttosto di sedersi sul pavimento freddo d’estate in mutande e parlare di come ci si senta e perchè, scansando pesantezze e fronzoli di troppo.