Mi sono preso un po’ di tempo per pensare, lo confesso.
Avevo questa recensione in testa da settimane, fin dall’acclamata uscita di “California”, celebrato dai media come il ritorno in pompa magna di una band storica e mai banale quale blink-182. Avevo accolto con qualche perplessità , mista a curiosità , il cambio della guardia alla voce. L’uscita di Tom DeLonge – da tempo “separato in casa” e sempre più concentrato sul progetto Angels And Airwaves – con la conseguente entrata in scena di Matt Skiba, aveva creato se non altro l’attesa per la riverniciata a una band da tempo non più sulla cresta dell’onda.
E’ vero, blink-182 hanno fatto storia, ma di ricordi non si vive ed è fuori discussione che questo trio necessitasse di una scossa, un cambio di registro. Dopo un recente passato in cui il suono si era appiattito e avvicinato al pop più radiofonico, blink-182 avevano perso anche le ultime reminiscenze di un punk-rock-pop che ha gioco forza segnato un’epoca. Nutrivo qualche speranza, se non altro nel vedere Skiba imbracciare la chitarra di fronte al microfono. Credito concesso da chi ha sempre apprezzato Alkaline Trio, ad esempio, band onesta, mai sopra le righe e mai sotto le aspettative.
Sforzo inutile, perchè al di là di questo lungo preambolo, di “California” c’è ben poco da dire. Ci troviamo di fronte a un disco confuso, privo di ossatura, dove blink-182 fanno di tutto per discostarsi da quel suono simil-Coldplay forgiato negli ultimi tempi e consolidato con l’ultimo “Neighborhoods”. L’assenza di DeLonge pesa, eccome, in primis perchè la personalità di Skiba è pressochè assente. Non ha peso specifico alcuno nell’alchimia della band.
Il singolo “Bored To Death” aveva illuso, tra movenze pop-punk e strizzate d’occhio alla platea. Quasi a voler dire: “Siamo tornati, aspettateci, questo è soltanto l’inizio”. Nelle 16 tracce di “California”, però, non c’è un briciolo di originalità . C’è confusione di percussioni e giri di chitarre che odorano di armadi rimasti chiusi troppo a lungo. Ci sono pochi episodi meritevoli di una menzione: “Cynical” è accettabile, ma l’uso allo sfinimento di cori e vocalizzi, abusati anche in “She’s Out Of Her Mind”, fa perdere troppo presto il filo del discorso.
La dimensione pop-punk dell’album non ha un punto di osservazione univoco. Tracce quali “No Future” sono prive di spirito e personalità , pur suonando orecchiabili e facilmente assimilabili anche a un primo ascolto. “Teenage Satellites” è ancora un crogiolo di cori dei quali, diciamolo, si farebbe volentieri a meno e l’anonimato la fa da padrone.
Il risultato finale è una disomogenea commistione di suoni, di cui poco si salva, a parere di chi scrive. Peggio di “Neighborhoods”? Si, se possibile, perchè blink-182 hanno perso non solo lo smalto che gli riconoscevamo un tempo, ma anche la faccia. In tutti i sensi, in un concentrato di ammiccante pop-punk e male abbozzato alt-rock.
Tom DeLonge ha scelto di separarsi da Hoppus e Baker proprio per la mancanza di interesse a registrare questo “California”, si mormora. Se così stanno le cose, non possiamo certo biasimarlo, perchè questo album si trascina lento, stanco e finisce nel dimenticatoio in men che non si dica.