Ogni tanto, non spesso per mia fortuna, mi imbatto in qualche artista o gruppo da me colpevolmente lasciato indietro e mi do dell’idiota, soprattutto se da questo involontario dimenticatoio musicale escono poi fuori gioielli come questo “Furnaces”.
Ed Harcourt comincia a far parlare di sè all’alba degli anni zero, dopo l’EP intitolato “Maplewood” arriva “Be here monsters”, felice esordio sulla lunga distanza infilato però troppo frettolosamente in quel calderone senza nè capo nè coda denominato N.A.M. (new acoustic movement), dove il nostro di acustico aveva ben poco, proponendo un suono ricco e variegato, figlio di evidenti studi classici.
Successivamente “From every Sphere” del duemilatrè risultava barocco e prolisso all’ascolto, anche per effetto di un’eccessiva sovraproduzione, mostrava però tutte le capacità dell’allora giovane musicista britannico. Dopo di che ho progressivamente perso le sue tracce, incrociandole in seguito solo saltuariamente, come nel caso della colonna sonora del mediocre seguito del famoso film “Donnie Darko”.
Oggi mi sorprendo invece a salutare un artista maturo e finalmente consapevole del proprio talento, il quale viene messo a servizio di dodici composizioni memorabili, canzoni vigorose nel proprio incedere che si muovono tra pop, rock e soluzioni orchestrali mai invasive, tra l’ultimo Nick Cave e gli Elbow di “The take off and landing of everything”.
Accompagnato tra gli altri da Stella Mozgawa delle Warpaint e dal percussionista di Tom Waits Michael Blair, “Furnaces” è un disco di moderno cantautorato pieno di potenziali singoli di successo come l’incalzante “Loup Garou”, o la titletrack, prima traccia estratta dal disco, accompagnata da un bellissimo videoclip realizzato da Matt Mahurin, già dietro la telecamera per Tom Waits e Rem.
Se l’iniziale “The world is on fire”, con la sua enfasi apocalittica apre in maniera maestosa le danze, sono le successive “Occupational hazard”, “Nothing but a bad trip” e la splendida “You give me more than love” poste nella parte centrale dell’album a descrivere il mood elegante e notturno dell’opera, tracce che anticipano il piano dolente e al contempo solenne di “Dionysus”, brano che spacca letteralmente il disco in due, donandoci una delle più memorabili melodie di questa stagione musicale, mentre “Last of your kind” è invece la canzone che i Coldplay dei primi due album non hanno mai più scritto, avendo optato per la più comoda strada del mainstream.
La promessa da parte mia è quella di non perdere mai più di vista Ed Harcourt e la sua musica, oltre che di recuperare il tempo perso, intanto prenoto già da oggi un posto per “Furnaces” nella mia personale top ten dei migliori album del duemilasedici.