Gli Health&Beauty sono una band di Chicago sulla scena in varie incarnazioni da oltre un decennio, con il fil rouge della leadership di Brian J. Sulpizio.
In “No Scare”, loro primo lavoro per l’etichetta Wichita Recordings, Sulpizio è supportato dal tastierista Ben Boye (collaborazioni con Ryley Walker, Bonnie Prince Billy, Angel Olsen etc) e dal batterista jazz Frank Rosaly (Ryley Walker, Peter Brotzmann e molti altri).
Già dal primo brano “Back to the Place” è evidente che prendere al laccio questo lavoro con categorie consuete sarà difficile, qui gli intrecci sfalzati tra voce, sezione ritmica e chitarre ricordano gli Smiths in alcuni momenti, ma più pazzi e violenti.
Bella e coinvolgente la galoppata di “Wartime”, ancora più intensa emotivamente quando di botto dìlaga in momenti soft e lirici, per poi riprendere la corsa verso rapide e cascate.
Quasi misteriosamente ci trasporta lontano l’intermezzo di Asunciòn & Dayanara, esotica e delicata, 3 minuti che invitano ad approfondire testi e significati.
Segue “No Scare” dagli stringenti ritmi spezzati da cambi imprevedibili, con cori un po’ folli e un po’ anni ’70, zappiani per le mie orecchie, mentre altrettanto imprevedibile prosegue Beyond Beyoncè, un rotolare vicendevole di musica e liriche , languido e scomposto ad arte, ricco di dissonanze e chitarre che sconfinano tra noise, hard rock, blues e heavy, che poi lasciano spazio alla sognante conclusione accompagnata dalle tastiere.
“Im yr Baby (for Aaron Swartz)” realizza un affascinante country blues, dove il colore fondamentale lo impone la melodia del violino, anche quando sembra restare sullo sfondo, mentre la voce è forse un po’ imboscata sotto le chitarre e la batteria, semplice nella struttura ma piuttosto densa di emozioni.
“Riverside Cemetery” torna a squassare un po’ la tranquillità delle strutture classiche metriche e ritmiche, con chitarre basso e batteria che spingono strattonano spezzano il ritmo, per poi riannodarlo in funi robuste su cui la voce può abilmente scivolare, ondeggiare appesa, lanciarsi nel vuoto, atterrare.
Nell’insieme definirei quest’album forse non del tutto coerente e chiaro negli intenti, ma un gioco di libera esplorazione che travalica i generi, che non ignora regole e tradizioni ma ama sovvertirle continuamente.
Alla fine mi lascia se non totalmente appagata sopattutto curiosa di come questo viaggio, che mette continuamente i piedi fuori dal seminato, ma non lo lascia mai del tutto, possa proseguire.
Come ci dicevano da piccoli, è bene alzarsi da tavola con un po’ di appetito.