Se avessi visto solo metà  del concerto di Cat Power a Cesena per l’ultimo appuntamento di acieloaperto, sarei qui a raccontare una storia di rinascita. Perchè appena Chan Marshall sale sul palco con una tisana in mano, jeans e camicia nera e una t-shirt morbida e sbiadita, ricorda mamma quando va a fare la spesa e non più la cantautrice biondo platino con un passato da alcolista che a luglio 2013 esibì a Roma un crollo emotivo a metà  concerto, scappò per poi rientrare, senza comunque rendere giustizia al proprio talento. Dopotutto, si disse, la Marshall era anche reduce da problemi di salute, dall’ennesima relazione finita disastrosamente e da un’intera vita ad essere se stessa ““ cosa che per alcuni non smette mai di essere una maledizione.

Certo, il Teatro Verdi ““ piano B adottato a causa della pioggia ““ non è la Rocca Malatestiana e, oltre all’incredibile perdita di scenario, il cambio di location può aver causato qualche imperfezione organizzativa altrimenti evitabile: la cantante suona i primi due pezzi sovrastata da un antiestetico telo pubblicitario e, a momenti, le luci sul palco, rivolte verso gli spettatori, ci accecano a tal punto da far venire il dubbio che la Power stia ascendendo ai cieli, senza che l’esperienza abbia qualcosa di mistico nè piacevole.

Tempo di arrivare a “Fool” (che continua in “Satisfaction” che continua in “Hate”, a flusso continuo) e tutto questo diventa irrilevante. Chan Marshall non sente la mancanza della band e sola sul palco in versione acoustic diventa la rappresentazione plastica di quello che canta la sua voce spezzata e perfetta: le solitudini urbane, il dolore che gli altri non conoscono, la donna che hai cercato di essere e non sei mai stata. La dimensione solista esalta il recupero di uno dei suoi album più delicati, “You Are Free”, di cui suona anche “Werewolf”, “I Don’t Blame You”, “Good Woman”, graffiate dalla chitarra elettrica e nient’altro, e forse altre ancora incastonate nell’intreccio uniforme e ininterrotto che rendeva a volte difficile (e tutto sommato poco importante) riconoscere l’inizio e la fine di un pezzo. E poi le cover, che per chi come lei ne ha riempito due album, “Jukebox” e “The Covers Record”, non sono mai un esercizio di stile e non fanno quasi mai rimpiangere gli autori originari: fra le altre, “Knockin’ On Heaven’s Door” e un’incredibile “Just Like Heaven” dei Cure, le più inaspettate e personali.

Nel mezzo però succede qualcosa, Chan si siede al piano, comincia l’intro di un pezzo, ricomincia, inzia a fare segni a qualcuno dietro le quinte che non deve aver passato una bella serata; riprende ancora e poi ancora, tre, quattro, cinque volte. Qualcuno alle mie spalle commenta: “ma poverina, come fa a suonare così?”, alludendo a non si sa bene quale mancanza tecnica. Però quel pianoforte in realtà  suona benissimo, e solo l’ingenuità  di chi non ne conosce i trascorsi (live) può negare che il problema non sia la strumentazione, bensì la Marshall alle prese con i fantasmi immaginari che ogni tanto la aggrediscono sui palcoscenici. Finalmente recupera la chitarra e si fa perdonare con una doppietta da rimanerci secchi, “Metal Heart”/”Moon”. Ma ormai, da lì, ha gesti frenetici, è sempre più a disagio, non sta andando bene e noi lo sentiamo, non per la qualità  della musica che non ha mai vere cadute, quanto per l’incertezza nervosa con cui si muove la donna sul palco. Il resto del concerto mi fa sentire come se stessi guardando qualcuno sull’orlo di un precipizio, senza poter fare niente per salvarlo. Verso il finale improvvisa e canta in direzione del pubblico Does anybody know what I’m singing, does anybody know where I’m going?.

No, Cat Power a Cesena non è stata una storia di rinascita, ma forse proprio per questo si è trattato di qualcosa di autentico, che poco aveva di spettacolare e molto di intimo. Un tipo di esperienza che non avrebbe ““ e non ha ““ tollerato un eccesso di perfezione.

Photo: Cesar Perdomo from Washington DC, CC BY 2.0, via Wikimedia Commons