#10) AFTERHOURS
Folfiri o Folfox
[Universal]

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Disco di dolore, morte e libertà . E poi soprattutto un disco liberatorio. Un urlo con tutta la voce che hai dentro. Quando ti senti mancare tutto sotto i piedi e provi a volare per riconoscerti, per riprovare a esserci con addosso un forte senso di straniamento. Il disco piu intenso, vivo e vero del 2016. Forse lungo, un doppio, ma capace di offrire un equilibrio perfetto tra rock, brani acustici, sperimentazioni e contaminazioni pop. Il pezzo che apre il disco, Grande, ha una forza incredibile.

#9) LOCAL NATIVES
Sunlit Youth

[Loma Vista Records]

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Bocciato a metà  dalla critica, il terzo disco dei Local Natives conferma le qualità  artistiche, la facilità  nel trovare melodie veramente belle, la capacità  di mettersi in discussione con sperimentazioni ritmiche e influssi di musica elettronica che hanno dato ancora di più struttura e profondità  ad una band che poteva anche permettersi di restare dove stava con il sound dei due primi dischi. Con Sunlit Youth forse vanno più in direzione Foals pur mantendo l’audace personalità  che li contraddistingue.

#8) PALACE
So long forever

[Universal / Caroline Records]

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Un esordio con i fiocchi in top ten andava inserito e la band londinese dei Palace l’ha davvero meritato. Malinconia all’inglese, schemi indie-rock rivisitati e mescolati, contrappunti di chitarre e progressione ritmiche coinvolgenti permettono di dare ad ogni traccia un’importanza singolare che permettono di restare incollati all’ascolto. Furbizia? No. Personalità , arrangiamenti ricercati e sofisticati. Ottimo inizio, grandissime potenzialità .

#7) OKKERVIL RIVER
Away
[ATO]

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Will Sheff è tornato e già  questa è una notizia e l’ha fatto con una sorta di death story di una fase della sua vita, come succede un po’ per tutti, in cui sembra stai perdendo le coordinate dell’essere se stessi. Ha sofferto la diaspora della band e gli eccessi di un’industria discografica sempre più cinica e confusa. Da qui sono nate splendide canzoni folk alla sua maniera.
Da brividi Comes Indiana Through The Smoke.

#6) LAMBCHOP
Flotus
[Merge]

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Autentico gioiellino che mescola indie, l’alt-rock e l’elettronica che parte da Kid A per arrivare all’ultimo Bon Iver. Uno spettacolo ambient, elegante. Il signor Wagner si è sempre messo in discussione. E lo fa egregiamente da anni. In Flotus con 2 suite una di apertura e l’altra di chiusura e nel mezzo tanta elettronica di gusto. Non dovrebbe mancare in una collezione di rispetto.

#5) TOM BROSSEAU
North Dakota Impressions

[Crossbill Records]

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Mettiamo da parte l’elettronica, le contaminazioni e il pop e trasferiamoci con un tuffo nella tradizione folk americana con un cantautore sensibile, etereo, elegante e intenso. Disco pieno di vita, di speranza, di campi, di paesaggi da mirare, da respirare, cose da fare con le preziose 9 tracce che fanno di NDImpressions un vero gioiellino da trattare con affetto e cura.

#4) ANGEL OLSEN
My Woman
[Jagjaguwar]

Angel Olsen è un autentico talento. Mille anime, mille volti, capace di passare dal garage al rock, deviando per il grunge, accogliendo nel suo calderone di schitarrate e voci calanti dal piglio Low-Fi, Patty Smith, P.J. Harvey, Chrissie Hynde e gli assoli funambolici di Neil Young ormai per sempre nelle nostre teste. Grinta, energia e intense ballads. Jagjaguwar tra le migliori etichette in assoluto.

#3) BON IVER
22, A Million
[Jagjaguwar]

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Al primo ascolto sono rimasto scioccato, sorpreso e forse in negativo. Al decimo ascolto ho avuto solo la conferma della grandezza di un’artista sconfinato, che poteva sulla cresta dell’onda pubblicare 10 ballads con il suo stile e vendere dischi a fiumi. E invece no, mescola la sua arte, la sua vita, la sua incredibile curiosità  musicale e pubblica un disco destrutturato, contemporaneo, forse a tratti fastidioso ma con aperture epiche che solo una cifra stilistica di tale portata poteva creare. E’ l’artista millenario per eccellenza. Esiste un Ante e un Post Bon Iver, mettiamocelo in testa. Tutti.

#2) MICHEAL KIWANUKA
Love & Hate
[Polydor]

Il mio battesimo Soul avuto con I Commitments ha installato in me una forte passione per questo genere musicale, soprattutto quello British. Già  da diversi anni il Soul sta cercando di incamerare in una grossa valigia, fatta con materiale Motown, influssi da altri generi vicini. Il risultato a volte è pazzesco, a volte è forzato e patinato. Kiwanuka aveva fuso la sua natura Black con il folk inglese contemporaneo con risultati eccellenti. In Love & Hate ritorna sui suoi passi e lo fa con una personalità  che non ha niente da invidiare ai grandi padri del Soul come Gaye, Hayes, Havens.

#1) RADIOHEAD
A moon shaped pool
[XL]

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Difficile per i Radiohead essere i Radiohead, ma proprio perchè sei i Radiohead, basta scavare nell’archivio e pubblicare pezzi che tutti volevano che fossero pubblicati in qualche disco errante, sfruttare al meglio la classe universale che lì unge da vent’anni or sono, scrivere due singoli diversi ma belli entrambi, Daydreaming è un colpo di classe incredibile, chiudere il disco con una versione piano di True love Waits e BOOOMM!. Disco dell’anno.

Altri dischi fantastici e dove ascoltarli:

FOREIGN FIELDS, Take Cover
THE CORAL, The Distance inbetween
P.J. HARVEY, The Hope six demolition project
BAND OF HORSES, Why you are ok