Tutte le storie conoscono una fine, questo lo sappiamo benissimo, il problema forse è che prima di arrivare al loro naturale capolinea alcune di esse meriterebbero maggiore fortuna, questo è senz’altro il caso degli inglesi Piano Magic.
“Closure” è il disco che sancisce l’addio alle scene per la band britannica fondata nel millenovecentonovantasette da Glen Johnson , una lunga e appassionante avventura all’insegna di una spregiudicata raffinatezza che li ha visti via via incrociare gli strumenti con un pop con venature dark wave e con la canzone d’autore, passando per l’elettricità dello splendido “Part Monster” e le dissonanze synth pop di “Ovations”.
Dopo ben undici album la band britannica ci presenta un lavoro che stilisticamente si avvicina al rock barocco dei primi Tindersticks e alle uggiose atmosfere dei Blue Nile di “Hats”, tratteggiando attraverso otto composizioni ricche di eleganti orchestrazioni un paesaggio urbano e malinconico, all’interno del quale la voce sinuosa e ricca di inquietudini di Glen Johnson si fa strada per raccontarci storie di ordinario romanticismo e mal di vivere.
“Closure” è un lavoro uniforme ma non per questo monocorde, nel quale forse l’ascoltatore meno smaliziato non troverà particolari momenti d’esaltazione, mentre chi è avvezzo alla frequentazione del pop più ricercato e ricco di spleen saprà cogliere la bellezza delle trame intessute da una band a questo giro particolarmente ispirata.