Il consueto appuntamento primaverile a Roma, da ormai qualche anno, è lo Spring Attitude Festival. Partita da lontano, la rassegna di musica elettronica e arte contemporanea si è insediata nella cultura e nella routine della clublife capitolina, specie per gli appassionati più assidui di un certo tipo di musica, perchè in grado di innovarsi anno dopo anno. Si ritorna al MAXXI e al Guido Reni District, mentre viene stavolta accantonata l’altra location abitudinaria, Spazio Novecento.

Le tre giornate sono all’insegna del progresso meditato: molti a/v live e performance di nicchia, grandi artisti ma soprattutto talenti tutti da scoprire, che avevano reso gustoso il cartellone già  nella fase di annuncio (ma, non lo omettiamo, avevano anche destato dubbi ai meno avvezzi alla novità ). Max Cooper ha sicuramente rubato la scena della serata di giovedì, quando a tarda serata si è presentato con la performance dal vivo dell’ultimo, superbo album “Emergence”.
Uno dei momenti più belli del festival, che durante la stessa notte aveva abbracciato dal medesimo palco le vibrazioni glitch-pop ed esploratrici di Jenny Hval, artista norvegese che ha aperto con grande autorità  il Lobby Stage, facendo riempire il di positività  l’ambiente del Museo d’arte Contemporanea.

Nel frattempo, nell’Auditorium si alternavano Huerco S. e Radian, anche qui live di grande sostanza e impatto: spiccano i visuals e l’onda ipnotica della musica, elemento ricorrente della tre giorni. Si chiude con il paladino di casa Raster-Noton, Grischa Lichtenberger, quando si è ormai creata una coda incredibile a testimoniare l’affluenza nell’Auditorium (che terminerà  con il progetto italianissimo di Mutech, “Sound of the Spheres”), e Moscoman fa ballare tutti a suon di delicata elettronica danzereccia, per concludere la serata. Grime, indierock ed elettronica cerebrale sono il manifesto di venerdì: lo Jäger Stage apre con un altro promettente nome italiano, la band IISO, per proseguire con i Suuns, a dare ancora più colore e carica. C’è il live di Nite Jewel nella sala RedBull Music Academy, non ci sarà  quello di Forest Swords che ha dovuto cancellare per motivi familiari (un vero peccato).

La cornice è come al solito ricca di aspettative. Si arriva al clou quando scocca l’ora di Nathan Fake, che torna con il live dell’ultima fatica, “Providence”, e raccoglie i consensi della platea quando termina con l’anthem per eccellenza, “The Sky Was Pink”. E’ Jon Hopkins a dargli il cambio (quanta qualità !), ma il suo come annunciato è un dj set: molto tenace e ruvido, tra qualche inghippo tecnico con l’audio dello stage e tanti nostalgici riferimenti ad “Immunity” è comunque un grande show. Un po’ di grime ancora, un po’ di r’n’b futuristico, da una parte Powell e dall’altra Bonzai, Tommy Genesis e Lady Leshurr. Il sabato chiude ancora a colpi di groove, jazz elettronico e contaminazioni sonore. Molta Italia ancora una volta, con Elephantides, Wrongonyou (partito qualche giorno dopo alla volta di Barcellona per suonare al Primavera, mica robetta!) e Drink To Me, la band capitanata dalla sorpresa della stagione passata, Cosmo.

Evidente il continuo contrasto globale – in senso positivo – dei live che si susseguono, quando a tarda notte arriva un altro live molto atteso da una parte, Romare, con strumentisti al seguito a fare il pienone, e lo svedese Sailor & I, con la sua intrigante elettronica raffinata da ballare, dall’altra. Chiude un altro talento nostrano, ormai conosciutissimo da queste parti, Clap! Clap!, che a notte fonda riporta l’energia tropicale a smuovere i più temerari, fino alla fine, tra contaminazioni etniche e folli balzi sulle macchinette. Spring Attitude, atto VIII, non lascia strascichi sostanziosi e dispensa i classici sorrisi.

Gli artisti hanno fatto il loro, tra qualche sorpresa e qualche certezza, non si è gridato al capolavoro assoluto, ma ci si è sempre divertiti. C’è stato molto parlare riguardo acustica, organizzazione globale e presunto fattore di un’ingestibile (ancora una volta) fattore sedi poco adatte al festival, tra idee per averne di più grandi e nuove o semplicemente altre con una garanzia globale per quanto concerne live di un certo tipo. Si potrà  sempre migliorare, modificare, e non ci sentiamo infatti di condannare un gruppo che lavora sodo tutto l’anno per portare quest’ondata di freschezza in città . La rassegna mantiene il suo percorso, scavalcando anche le barriere impervie della line-up che a tutti i costi ha bisogno di essere “ad effetto”, puntando cioè volutamente sul nuovo, realizzando un balzo in avanti che la comunità  più affezionata avrà  sicuramente apprezzato. Torneremo la prossima primavera, come da tradizione, sempre più curiosi di sapere come andrà  avanti questa storia d’amore.