Death is real. L’assunto iniziale, parlato, sussurrato, di “A Crown looked at me”, ultimo album di Phil Elverum (Mount Eeerie, dal 2003), assume la natura ontologica della morte come imperativo di partenza ““ e di arrivo ““ declinandolo all’interno delle undici tracce.
La perdita della moglie Geneviève Castrèe nell’autunno del 2015, poco dopo il suo trentacinquesimo compleanno, costringe il cantautore americano a camminare sopra un crinale; la morte è reale, l’arte ““ in questo caso la scrittura, e la musica ““ è il mezzo più contiguo che permette a Phil Elverum di dialogare con l’amata, un corvo che riecheggia e ricorda che cos’è l’amore.
Nulla si impara, e nulla vuole essere imparato dalla morte. La morte è viva, e l’arte viene ricondotta ad essa. Nella traccia che apre l’album, “Real Death”, la strofa iniziale è scritta in terza persona, quasi fosse un referto universale ““ hic et hunc ““ sulla morte; nell’ultima strofa si affaccia una corrispondenza necessaria in prima persona (It’s dumb/ And i don’t want to learn anything from this/ I love you).
Le dieci tracce che seguono raccontano la vita senza di lei, gli sguardi nuovi sulla realtà , lo stoicismo della natura di fronte alla morte di Geneviève. In “Seaweed”, la ricerca di significato in un fiore ricorda il Nick Drake più intimo e malinconico di “Way to blue”. Il cantautore parla dell’assenza della donna, che è presenza incessante, anche nel ricordo di una fotografia fissata al frigorifero (“Ravens”). Geneviève diventa un fantasma, che entra ed esce ““ dalle finestre e dalle porte ““ e porta freddo a chi resta (“Forest fire”, “When i take out the garbage at night”). La morte è descritta in maniera chirurgica; le parole diventano quasi insopportabili per l’ascoltatore, presenza obbligata e invadente in un focolare così intimo (“Swims”).
Registrato nella stessa stanza in cui la moglie ha trascorso gli ultimi giorni della malattia, A crown looked at me prosegue lo stile lo-fi di Mount Eerie, sottraendo ancora di più ““ a livello di melodia, di strumenti, e di voce ““ percuotendo e commuovendo l’ascoltatore con un silenzio che esprime dolore. Un canto soffocato sull’assenza (“Emptiness, Pt. 2”).
Si può vivere, ancora?
Nell’ultima traccia, “Crow”, l’interlocutore diventa suo figlio. A lui si rivolge. è lui che rappresenta la vita che resta.
Sweet kid, I heard you murmur in your sleep
“Crow,” you said, “Crow”
And I asked, “Are you dreaming about a crow?”
And there she was.