Energia da vendere e testi diretti e con ben pochi filtri che guardano tanto al femminismo e alla politica quanto a un po’ di sano e fottuto divertimento, in un mondo dove in realtà non è che ci sia molto da ridere: si prova a sorridere e fare i “cazzoni” anche e sopratutto per esorcizzare l’ansia per quanto ci circonda e per ironizzare su quello che ci aspetta. Questi sono i norvegesi Sløtface e possiamo tranquillamente dire che riescono a tirare fuori il meglio dalla loro scrittura, sorprendendoci con qualche arrangiamento inaspettato e una varietà sonora che rende il disco dinamico, accattivante e capace di piccole sfaccetature sempre diverse che ci catturano.
Mentre Haley Shea lancia i suoi testi al vitriolo, senza che anche un pizzico di nostalgia non compaia in mezzo a frasi ad effetto (“Patti Smith would never put up with this shit“) e commenti tutt’altro che gentili su vari aspetti sociali, il buon Tor-Arne Vikingstad alla chitarra macina riff, coadiuvato da una squdra ritmica che l’estetica pop-punk la conosce assai bene, così come la scuola anni ’90, in modo che questi due mondi si cerchino, si stimolino e si fondano a vicenda.
In una media sonora che risulta essere piuttosto buona c’è davvero qualcosa che emerge in modo prepotente ed esplosivo: “Magazine” che pare una confezione di pop-corn in un microonde, altissimo tasso di coinvolgimento e sappiate che restare fermi senza saltare come invasati sarà praticamente impossibile, per non parlare poi di “Pitted” (in cui fanno capolino pure eroici fiati alla Speedy!) che ci rimanda a certi gruppi anni ’90 per cui il “pop-punk a manetta” non era un genere ma una filosia di vita, pensiamo ai Symposium, tanto per capirci. “Pools” e “Galaxies” hanno un ritornello che dovrebbe essere insegnato a scuola. Sopraffine anche “Night Guilt”, che accende e spegne la luce provocando scosse e corto circuiti ad alto voltaggio e “Sun Bleached” che profuma quasi di Breeders.
Altro da dire? No. Esordio da incorniciare