Sarà un piccolo articolo riassuntivo il nostro, visto che la Shelflife Records ha deciso di calare un tris d’assi nello stesso giorno, piazzando le uscite di Luxembourg Signal, Pia Fraus e Airiel tutte nello stesso giorno: idea anche giusta, cosi chi ordina punto subito al tris e risparmia sulla spede di spedizione!
Ancora una volta l’etichetta gestita da Ed Mazzucco e Matthew Bice di dimostra magnifica dispensatrice di guitar-pop e noi non possiamo che predisporci nel modo migliore per accogliere queste tre uscite. Se già il debutto dei Luxembourg Signal ci aveva lasciato senza parole, beh, c’è da dire che in questo secondo capitolo la magia è rimasta intatta, anzi, se possibile si ancora di più intensificata. La band ha la capacità di trasmetterci una doppia valenza musicale, in cui possiamo essere investiti da sensazioni di pace e di beatitudine tanto quanto sentirqui inquieti, mentre i nostri riferimenti più terreni stanno diventando più liquidi e onirici. Chitarre e synth cercano la sublimazione sonora incalzando (“There’s Nothing More Beautiful Than” o la pazzesca e iper toccante “Blue Field” dove si ritrovano magie mai dimenticate di scuola Sarah Records) o sfiorandoci con dolcezza (“Shipwreck”, per non parlare dei delicati arpeggi di “Fall Feeling”). Musicisti che definire esperti in materia è dire poco e che trovano incastri e soluzioni ricche di fascino, ma da gente come Beth Arzy, Betsy Moyer o Johnny Joyne non ci si poteva aspettare che questo, se poi lo stato di grazia è così elevato, beh, preparatevi davvero a sognare su trame autunnali in grado di rapire il vostro cuore. In fatto di sensibilità e di capacità di creare suggestivi mondi sonori in cui le emozioni emergono a fior di pelle, beh, credo, che al momento, i Luxembourg Signal non siano secondi a nessuno.
VOTO: 8
Gli Airiel sono quella classica band che ha una altissima reputazione in ambito shoegaze, ma che purtroppo non ha mai avuto la capacità o la possibilità di ambire a visibilità più elevate. Non serve neanche aggiungere che ciò è davvero un peccato. Il nuovo album “Molten Young Lovers” è solo il secondo capitolo di una discografia che avrebbe potuto essere ben più ampia, visto che sono attivi dal 1997. L’apertura di “This is Permanent” vale da sola tutto l’intero nuovo album dei Ride. Macchina oliata alla perfezione che eleva il potenziale shoegaze all’ennesima potenza, brillando come luce nella notte, mentre intorno a noi il mare è in tempesta e il vento impietoso nonaccenna a calare. Un tuffo cristallino e da capogiro negli anni ’90, un biglietto da visita che lascia senza fiato. Da li in poi la strada è tutta in discesa, mentre la maestria dei ragazzi di Chicago guidati da Jeremy Wrenn diventa sempre più lampante, rendendo il disco vivo, vibrante, eclettico e pulsante. Gemme dream-pop che grondano romanticismo struggente come la title track non possono lasciarci indifferenti, così come veri e propri assalti sonori come “The Painkillers”. Deragliamenti psichedelici con una sezione ritmica pazzesca in “Sharon Apple”, in cui la scuola MBV emerge e dimostra che gli allievi sono all’altezza dei maestri. Se poi il vostro scopo è perdervi nello spazio più sublime, beh, sapiate che “Song Of You” è stata creata apposta per questo, con rimandi quasi a una versione ancora più onirica e visionaria dei Revolver, (riferimento che più di una volta mi sento di tirare in ballo in tutto il disco), mentre dal punto di vista melodico provate a non avere la pelle d’oca durante “You Sweet Talker”. Assieme al disco dei Blankenberge questo è il mio disco shoegaze dell’anno. VOTO: 8
Tempo di ritorni anche per i veterani (sono attivi dal 1998) dell’Estonia, Pia Fraus. Sicuramente meno pulsanti rispetto agli Airiel ma non per questo meno affascinanti. Nella loro musica hanno sempre unito suggestioni dream-pop e shoegaze con pulsioni più elettroniche che potevano anche essere accostate a band come gli Stereolab. Potremmo definirlo un disco per i cultori del genere, lo so, sarebbe fin troppo limitativo, ma credo che proprio chi apprezza molto lo shoegaze possa cogliere le piccole sfumature, che fanno la differenza, e la gestione sempre superlativa di un sound che crea l’atmosfera in modo così naturale. Magnifico il climax subito in apertura di “It’s Over Now”, brano circolare, costruito sulla ripetitività che non pesa affatto, ma anzi ci cattura nel suo vortice incantevole, così come magnifica è la resa di “Autumn Winds” in cui il titolo è davvero indicativo di quanto si andrà a sentire. La punta di diamante è l’onirica “Don’t Tell Me How”, vera e propria magia che ci culla in un mondo riverberato e dolcissimo. Un disco che si conferma all’altezza della fama della band. VOTO: 7,5