Ha senso continuare a scrivere di determinati figli d’arte sempre e solo in considerazione delle loro ingombranti eredità artistiche? No, se si ha a che fare con una musicista come Charlotte Gainsbourg, che a differenza di un Jakob Dylan o di un Julian Lennon, ha da subito trovato la sua strada, intraprendendo un cammino convincente sin dai primi passi, seppur gravato dalla presenza dell’enorme ombra paterna.
Quello che fino ad oggi però mancava nel percorso musicale della quarantaseienne musicista franco-britannica era un disco che mettesse definitivamente d’accordo tutti, titolo che arriva al quinto album della musa di Lars Von Trier.
“Rest” è un lavoro elegante e raffinato, che gioca con un’elettronica mai invadente messa al servizio di una solida capacità di scrittura, le cui undici tracce vivono di momenti intimamente toccanti(vedi “Kate”, dedicata alla sorellastra scomparsa quattro anni fa) ed altri decisamente più easy, come la funkeggiante “Sylvia says” o la successiva “Songbird in a cage”, che vede la presenza del baronetto Paul McCartney, in quello che forse è l’episodio meglio riuscito del lotto.
Sono trame avvolgenti e delicate quelle che costituiscono le strutture portanti delle tracce di “Rest”, in cui la Gainsbourg dimostra di aver imparato a memoria sia le lezioni paterna, che quelle impartite dall’amico Beck(“Les Oxalis”) e dai compatrioti Air(“Le Crocodiles”).
Forse un po’ tardi, Charlotte Gainsbourg ci regala la sua prova del nove musicale, convincendo definitivamente l’ascoltatore delle sue capacità , così come è riuscita a fare per quello che riguarda la recitazione.